Kenneth Freeman, pennellate da cowboy

È capitano dei Buffalo Soldiers e ritrae la vita degli indiani del West

Milano ospita, nella cornice tardo barocca della Fondazione Metropolitan l'artista americano Kenneth Freeman (1935, Chicago, Illinois). Definirlo genericamente “artista” è forse riduttivo, in quanto ha una precisa missione nella sua carriera di pittore: ritrarre la vita degli indiani del West, con cui è in stretto rapporto ormai dal 1978, anno in cui ha deciso di lasciare Chicago (dove lavorava come illustratore per numerosi quotidiani e riviste) per trasferirsi con moglie e le due figlie a Scottsdale, in Arizona. Qui ha consacrato decisamente la sua vita ai cowboy, va a cavallo ogni giorno e ritrae la vita degli indiani del West. Fino a diventare “Capitano” dei Buffalo Soldiers, la sua tribù di indiani, «ma sono anche soldato - dichiara - il che è un'eccezione e una concessione. Per poter diventare soldati bisognerebbe essere di sangue Buffalo». Prima di lasciare la vita d'illustratore a Chicago e arrivare ad essere un “pittore-cowboy”, Freeman ha avuto una buona formazione artistica. Ha studiato alla Standfort university, vincendo ogni anno una borsa di studio estiva: andava all'Academy of art di Chicago, dove quindi riesce a diplomarsi solo un anno dopo la scuola. I quadri di Freeman, dal tratto fotografico e i colori forti, non hanno nulla da invidiare ai film di Sergio Leone o i fumetti di Tex Willer e di immedesimarsi in tutte le icone del mito del West americano.

Si può dire che Freeman sia più efficace nei ritratti (lo «Sciamano», la «Cookie Lady», il volto del giovane indiano «Look into the past» o ancora il verissimo ritratto «There is no easy way», dove una donna Navaho fila la lana come i suoi antenati), che nelle figure intere o le vedute paesaggistiche, ma ogni immagine è comunque in grado di comunicare una sensazione precisa di cosa sia il West.
Kenneth Freeman fino al 15 aprile allo Spazio San Paolo Converso corso Italia 21 tel. 02-860414 ingresso libero

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