Kgb, ai pm il dossier sugli ex premier dell’Ulivo

Claudia Passa

da Roma

Nel caso Mitrokhin torna in campo la Procura di Roma. Un anno e mezzo dopo l’archiviazione dell’inchiesta sulle presunte spie italiane del Kgb, una relazione della Commissione presieduta dal senatore Paolo Guzzanti (Fi) potrebbe riaprire la partita, chiamando in causa i vertici istituzionali e d’intelligence che - secondo la ricostruzione del Parlamento - «insabbiarono» il dossier, evitarono indagini politicamente «scomode», omisero di consegnare il carteggio alla magistratura.
Il documento, 80 pagine, porta la firma dell’ex procuratore di Napoli Agostino Cordova, consulente dell’organismo parlamentare.
E ieri è stato consegnato da Guzzanti a Giovanni Ferrara, capo dell’ufficio giudiziario capitolino. Ripercorre le indagini parlamentari, individua ipotesi di reato, incrocia dichiarazioni e contraddizioni, ricostruisce - in base alla relazione intermedia della Commissione - cosa (non) fece il Sismi del generale Sergio Siracusa e dell’ammiraglio Gianfranco Battelli, al tempo dei governi Dini, Prodi e D’Alema, per approfondire le 261 schede trasmesse a Forte Braschi dall’Mi6 inglese.
E stigmatizza le conclamate bugie, come quella di Siracusa sul mancato incontro degli 007 del Sismi con la «fonte» Mitrokhin, che tre volte i Servizi britannici offrirono (invano) al nostro controspionaggio: incalzato in commissione, prima Siracusa ha negato l’evidenza, per poi spedire una lettera di scuse quando la testimonianza di un funzionario, e gli atti, l’hanno smentito.
Il passaggio non è di poco conto, poiché il mancato contatto del Sismi con la fonte ha comportato l’impossibilità di superare il fallimento delle rogatorie verso Russia e Gran Bretagna da parte del pm Franco Ionta che al momento di iscrivere 19 indagati per spionaggio, in base ai riscontri del Ros, scriveva: «L’attendibilità dei documenti esce rafforzata dal vaglio compiuto per ogni report». Ora, un anno e mezzo dopo l’archiviazione, la Procura è chiamata a interessarsi nuovamente del caso; non solo dei personaggi citati nel dossier, ma soprattutto di coloro che, nelle istituzioni, potrebbero non aver operato secondo legge.
Le ipotesi di reato della relazione-Cordova sono pesanti: omessa denuncia, abuso d’ufficio, rifiuto d’atti d’ufficio, favoreggiamento. Chiamati in causa, a vario titolo, Siracusa e Battelli, Dini, Prodi e D’Alema. Un capitolo a parte, poi, riguarda la «seduta spiritica» che al Professore & co. riuniti a Zappolino in pieno sequestro Moro rivelò l’indicazione di «Gradoli» come luogo di prigionia.
La disamina è certosina, passa in rassegna il resoconto di Prodi alla Commissione Moro, la lettera «collegiale» dei partecipanti al «gioco del piattino», il racconto degli altri protagonisti e quanto poi emerso nel drammatico evolversi degli eventi.
«Tale ipotesi - scrive Cordova - appare del tutto irreale, anche se taluni credono in tale “gioco” ed asseriscono di averlo praticato: ma, ove fosse reale, non si vedrebbe perché tale sistema (il gioco del piattino, ndr) non sia stato utilizzato dalla polizia giudiziaria, magari istituendo un corpo specializzato, per individuare tutti i luoghi in cui vengono custoditi i sequestrati, o dove si trovino le persone scomparse, o i corpi di reato, ovvero i posti in cui si nascondono i latitanti...».
Anche sulla storia del «piattino» non mancano stranezze e contraddizioni. Quanto all’ipotesi che l’espediente servisse a coprire l’identità della «fonte», Cordova si chiede se non sarebbe stato più agevole riferire l’informazione tutelandone l’originatore.
Apriti cielo. Il senatore Ds Guido Calvi ha parlato di «volgare tentativo di calunnia che merita un’immediata risposta sul piano legale». Dura la replica di Guzzanti: «Mai mi sarei aspettato reazioni così inconsulte, volgari e antiparlamentari come quelle degli esponenti Ds alla notizia della trasmissione del documento Cordova all’autorità giudiziaria. Il professor Prodi - incalza Guzzanti - due settimane fa ha annunciato una querela nei miei confronti che ancora non ho avuto il piacere di vedere, ma che attendo come un’occasione per rafforzare la verità. Lo stesso dicasi per le inconsulte e tracontanti minacce del senatore Calvi, persona generalmente tranquilla, che ieri ha politicamente ed emotivamente perso la trebisonda, abbandonandosi ad un volgare attacco contro un’istituzione parlamentare senza neanche aver letto il documento di cui si parla e dunque, cosa insolita per lui, parlando a vanvera». Guzzanti, che ha consegnato la relazione ai pm «a titolo personale», ricorda poi la legge che impone ai pubblici ufficiali la comunicazione di notizie di reato, pena l’omissione d’atti d’ufficio: «Capisco che per loro il reato di omissione d’atti d’ufficio faccia parte di una tradizione - incalza il senatore -. Per me resta un fatto grave, quindi non ho inteso omettere i doveri che derivano dalla mia funzione».

D’accordo anche gli azzurri Fabrizio Cicchitto («le minacce di querela sono destituite di ogni fondamento»), Gabriele Boscetto («è stato toccato un nervo scoperto di alcuni leader del centrosinistra») e Lucio Malan («l’iniziativa di Guzzanti è assolutamente doverosa»).

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