Khaled Fouad Allam: "Basta con gli autogol. Con la tolleranza di favorisce la xenofobia"

"L'Europa ha smesso di interrogarsi sul suo destino. Mschee, servono imam competenti e formati in Occidente. Il burqa deve essere vietato, è uno strumento di oppressione"

Khaled Fouad Allam: "Basta con gli autogol. Con la tolleranza di favorisce la xenofobia"

Il multiculturalismo ha fallito. L’allarme lo lancia Angela Merkel. Gli immigrati fanno paura, e oggi l’Europa è confusa e trema di fronte al peso dei cambiamenti. La destra xenofoba le chiama invasioni. Khaled Fouad Allam, sociologo e politico di origine algerina, naturalizzato italiano, scuote la testa. «L’Europa ha peccato di ingenuità. Ha smesso di interrogarsi sulla domanda fondamentale. Che cosa vuole essere? Solo da qui si può partire per decidere cosa si vuole fare».
Dove ha sbagliato l’Europa?
«Per troppo tempo l’Europa ha trattato il fenomeno dell’immigrazione con ingenuità, senza conoscere la complessità della situazione. E non ha considerato la crisi che sta attraversando il mondo islamico, tra chi vuole la sharia e chi l’aggiornamento dell’Islam».
Che differenza c’è tra multiculturalismo e integrazione?
«Per usare una metafora, il multiculturalismo è la carrozzeria, l’integrazione è il motore. Senza la spinta, senza questo motore che fa andare avanti, la carrozzeria serve a poco».
Cosa deve fare ora l’Europa?
«Non si deve accettare tutto di tutte le culture. Il buonismo è un atteggiamento che non premia».
Vietare il burqa è giusto?
«Il burqa ha un effetto devastante. Io sono sempre stato a favore di una legge che lo vieti. Il burqa lede uno dei principi fondamentali del trattato di Lisbona: spezza l’uguaglianza tra uomo e donna, nega la coesione sociale. Un meccanismo pericolosissimo, che potrebbe accendere tensioni».
Perché i partiti di estrema destra stanno avendo così successo in Europa?
«Troppo silenzio».
Cosa c’entra il silenzio con la politica?
«Si torna al tema principale: l’Europa ha smesso di interrogarsi sul proprio destino. Cosa vuole essere? Non c’è stato dibattito, agli intellettuali è stato consegnato un ruolo inutile. È all’interno di questo vuoto che si inseriscono queste risposte xenofobe. Reazioni preoccupanti e pericolose. La colpa però in questo caso non è solo della politica, ma della società civile che ha mantenuto il silenzio».
È giusto costruire moschee in Italia e in Europa?
«Il problema non sono le moschee, ma chi mettiamo dentro. Gli imam devono essere persone competenti, formati in Occidente dove c’è la democrazia e dove i suoi principi sono la base da cui partire. Nella nostra cultura il tema della libertà religiosa viaggia di pari passo con i principi dell’uguaglianza, dell’integrazione. E poi devono far parte di una Consulta».
Le regole di casa nostra vanno modificate?
«Assolutamente no. Le nostre regole sono un patrimonio che va difeso. La storia ci ha insegnato che la mescolanza è sempre esistita. Ma questo non significa anarchia. Quello che piuttosto va cambiato è l’approccio. Far sentire all’altro che il cambiamento è possibile, è qui che la politica deve essere affiancata da un’educazione nuova».
Pensare a un tetto come ha fatto la Gelmini per le classi miste va in questa direzione?
«Mescolare funziona, le classi ghetto sono pericolose. Creano diffidenza, scatenano rabbia. La sociologia insegna che mescolare crea una spinta in avanti verso l’integrazione».
Eppure Hina e Sanaa sono state uccise proprio perché volevano vivere all’occidentale.
«Sì, ma paradossalmente nel male c’è stato un segno positivo, Hina e Sanaa sono il segno che tra le nuove generazioni c’è domanda e non repulsione. C’è voglia di partecipare. La grande sfida dell’Europa è far capire a queste generazioni che il cambiamento è possibile».
Perché in America il multiculturalismo funziona?
«Negli Stati Uniti c’è una forte identità. L’Europa dovrebbe prendere quel modello ad esempio.

Ma per capire basterebbe guardare più vicino, spostare lo sguardo verso il Veneto, alle relazioni con il mondo ottomano. Nel ’500 c’erano matrimoni misti. Era un modello che funzionava. Venezia ha saputo filtrare, ha creato un unicum. Lo stesso deve fare l’Europa».

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