Il killer sentito per 3 ore, non c’è movente

Tre ore di interrogatorio, poi all’uscita dal carcere magistrati e avvocato difensore dribblano i cronisti e si allontano senza rilasciare una sola dichiarazione. Nemmeno per chiarire se Riccardo Bianchi si sia avvalso della facoltà di non rispondere o se abbia spiegato perché ha ucciso Ilaria e Gianluca Palummieri. Un riserbo spiegabile con il precario equilibrio psicologico del ragazzo, considerato a rischio suicidio e per questo guardato a vista in cella.
Ancora oscuri dunque i motivi che hanno spinto il giovane, 21 anni il mese prossimo, ad ammazzare il suo più caro amico e la ragazza con cui era stato fidanzato per quattro anni. Gianluca, 20 anni, massacrato con venti coltellate per la strada, dopo una notte ad alta gradazione alcolica. Compiuto l’omicidio, Riccardo carica il corpo in auto e all’alba suona Al citofono dei due ragazzi, usciti pochi mesi fa da casa. Ilaria, 21 anni, lo fa salire e viene subito immobilizzata. Dopo averle detto di aver ammazzato il fratello la sequestra per 12 ore, la lega al letto, immobilizza, violenta e infine la uccide verso le 18. Bianchi la veglia fino a tarda ora, quindi scarica il corpo del ragazzo a Rho e torna a casa in via Pompeo Marchesi 13. I genitori capiscono delle su parole confuse che è successo qualcosa di tremendo e lo hanno portato alla polizia.
Venti ore di interrogatorio, poi la confessione, da cui manca la cosa principale: il movente o meglio, trattandosi di pura follia, l’elemento scatenante. Solo una supposizione, la gelosia: Riccardo era possessivo, Ilaria stanca delle sue ossessioni l’aveva definitivamente lasciato qualche settimana fa. Forse il ragazzo aveva tentato un «aggancio» attraverso il fratello, suo storico amico del cuore. Forse Gianluca ha cercato di convincerlo a lasciar perdere la ragazza e Riccardo ha perso la testa. Troppi dubbi. E troppe domande senza risposta. L’assassino non ha saputo spiegare come sia spuntato il coltello. Se l’ha trovato per caso deve spiegare da dove è spuntato, se l’ha portato via da casa, scatta la premeditazione. E poi perché quell’aggressione alla sorella, il sequestro, le violenze fisiche e morali attraverso la confessione del delitto appena commesso. Quasi un sfregio.
Tutti elementi che lasciano intravedere un profondo disagio psicologico, che ha portato il pm Cecilia Vassena a raccomandare la massima vigilanza sul detenuto, guardato a vista dalla polizia penitenziaria in carcere. Dove ieri si sono recati per l’interrogatorio di garanzia il gip Stefania Donadio, la stessa pm Vassena e il difensore Gianluigi Bonifati del foro di Lodi.

L’incontro, iniziato alle 9 si è concluso a mezzogiorno: tanto se il ragazzo si è avvalso della facoltà di tacere, poco se ha risposto. Anche se alla fine qualcosa alla fine sembra abbia detto. Comunque all’uscita magistrati e legale sono andati via senza rilasciare dichiarazioni. Quasi proteggessero un minore.

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