da Milano
«Kinder»? Per gli italiani è «Ferrero», quasi un riflesso condizionato col cioccolato. Ma per i tedeschi è, semplicemente, «bambini», il plurale di kind, bambino. Parola comune, che per le leggi di ogni Stato non è brevettabile. Su questa oscillazione tra goloso marchio di fabbrica e asettico termine da vocabolario, un colosso come la Ferrero si è impegnata per anni nelle corti di Germania. Ieri, alla fine, ha perso: il tribunale di Karlsruhe ha deciso che non può vietare ai rivali tedeschi di usare la parola «kinder» nei nomi dei loro prodotti. Il gruppo dolciario italiano non può vantare il monopolio di una parola comune. La Ferrero aveva cercato di far proibire ai gruppi Haribo e Zott di chiamare due prodotti, rispettivamente, «Kinder Kram» («cose da bambini») e «Kinderzeit» («tempo dei bambini»), che potranno continuare a essere normalmente venduti nei supermercati tedeschi.
Già nel 2002, il tribunale di Vienna aveva respinto la richiesta della Ferrero di vietare in Austria luso dellindirizzo internet «www.kinder.at», che con il marchio del cioccolato non aveva a che fare. Anche allora fu ribadito che una parola comune non può essere protetta come marchio.
Per Ferrero, quella tedesca era uniniziativa difensiva differente dalle solite: in genere il gruppo è impegnato, in tutto il mondo, a difendersi dalle contraffazioni. Lultimo caso risale allinizio dellanno, quando nella Chinatown di New York fu individuato un prodotto doppiamente malizioso: cioccolatini del tutto identici ai Ferrero Rocher, chiamati invece Ferrari Rocher, in un confuso ma efficace mix di «made in Italy».
Ma Ferrero tentò anche di difendere, al contrario, un proprio marchio dalla sua accettazione nella lingua comune: anni fa simpuntò contro lo Zingarelli, uno dei più celebri vocabolari ditaliano, «reo» di aver inserito la parola «nutella» nelle sue colonne, considerandola ormai duso comune. Invece per un marchio diventare parola comune - passare ciò dal maiuscolo al minuscolo - è unautentica apoteosi.
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