Riccardo Signori
nostro inviato a Monaco
Quelluomo solo al comando oggi sarà ancora un po più solo. Lo ha mollato anche Michael Ballack: un problema al polpaccio e la Germania ha perso lultimo kaiser. Per tanti una disgrazia calcistica. Per Kinsi solo un problema. «Ma non è la fine del mondo». In fondo, ha pensato, cè tempo. «Dovremo giocare sette partite perfette per arrivare alla finale. Ballack servirà per le altre sei. Ci serve sano». Jurgen Klinsmann, detto Kinsi, la pantegana bionda delle memorie interiste, è luomo solo al comando che stasera siederà sulla panchina della Germania unita, lunica forse che ha abbattuto ogni muro. Solo, ma non solitario, contro tutti: presunti amici e nemici certi, gli avversari di un mondo del pallone e tutti i commissari tecnici di casa sua. Difficile farsi accettare nelluniverso in cui il cerchio non può coesistere col quadrato. Difficile spiegare a tutti che può essere indifferente guidare una nazionale ingrigendo nella prussiana Hannover piuttosto che prendendo la tintarella a Huntingdon Beach, in California.
Klinsmann, che pur ha un invidiabile pedigree calcistico a dispetto delle irrisioni della sua campagna italiana, per tanti è un novellino della panchina, per qualcuno il solito inguaribile naif. «Un apprendista» sintetizzò Peter Neururer, uno dei tanti allenatori che forse lhanno invidiato, con un pizzico di sprezzo. Ma ci sarebbe voluto altro per togliere Kinsi dal suo inossidabile bel vivere. «Se uno dice che non ho vinto nulla, dice la verità», rispose. Fino ad oggi era un buon modo di difendersi. Ora non basterà più. Kinsi gioca per sè e per la Germania, non può sbagliare gol come ai bei tempi sotto porta. In ventidue mesi ha stravolto il calcio pensiero tedesco: un ct part time, tre preparatori fisici americani, psicologo. Ha condito il lavoro con critiche allimmobilismo nazionale, non solo sul campo ma anche nelle idee. Stasera Costarica comincerà a sperimentare le sue ragioni. «Abbiamo lavorato per definire unidentità calcistica. E non labbiamo cambiata. Vogliamo un calcio aggressivo, offensivo. Sappiamo di avere dei punti deboli, però compattezza e un buon collettivo ci aiuteranno». Non è il primo, nè sarà lultimo tecnico che racconterà il calcio visto sotto questa luna. Ma in Germania erano abituati ad essere più pratici e meno belli. Klinsmann, invece, è un tedesco nel passaporto e in poco altro: vorrebbe vincere seguendo la vena del calciatore che fu. Con i gol. «Meglio un successo per 3-2, cè più divertimento».
Quella che stasera andrà in campo, sarà la Germania della rivoluzione culturale pallonara guidata da un allenatore di 42 anni, che fatica a ritrovarsi nellabito di taglio perfetto, non annoda mai la cravatta come un business man, ha ridotto il taglio dei capelli perchè qualcuno comincia a mancare, e vorrebbe rivedere il suo calcio, quello della Bundesliga, ritrovare contatto con lelite perduta. Invidia i brasiliani. «Perchè hanno sempre fame. Mentre per gli europei è più facile perderla che mantenerla». Osservare Ronaldinho, dice, è un piacere. Ma pure un insegnamento. «Può guadagnare anche miliardi, ma ha sempre fame. Fame di pallone: giocare e giocare».
Kinsi vorrebbe imitare gli olandesi. Per un tedesco forse odiosi, ma non nel calcio. Perchè non hanno mai cambiato filosofia di gioco. E sottintende una critica al proprio mondo calcistico. «Prima di me ci sono stati Vogts, Ribbeck, Voeller: per ogni cambiamento una diversa filosofia di gioco. Ecco, mi piacerebbe lasciare unimpronta che si trascini nel tempo. Il nostro calcio manca di velocità, ritmo, dinamismo. Guardate la scuola Ajax, seleziona i giovani per insegnar loro un certo tipo di calcio. Raramente scelgono un difensore per allenarli». Ce nè abbastanza per far scatenare i criticoni del pallone tedesco, la stampa pronta a scandalizzarsi e scandalizzare. Questo mondiale è vissuto con falsa armonia di facciata: tutti per uno, ma non uno per tutti. E il ct non è così fesso da andare a sedersi in panchina senza portarsi un cuscinetto di amianto. Eppure non scambierebbe con nessuno sensazioni e momenti. «È un mestiere stupendo», ha ammesso. «E non si potrebbe aver di più dalla vita».
Klinsmann è un uomo che sa pregare, ma dice che non lo farà mai per vincere una partita o un mondiale. E non si sentirà solo. «Perchè lassù cè mio padre: penso spesso a lui e so che sarà vicino a me nel giorno della finale». Certezze e speranze si confondono. Ma questa è forse la miglior immagine di un tedesco, e dei tedeschi, che attendono il mondiale.
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