Il Kouros ritrovato l'"uomo nuovo" di Sicilia

Le due parti, testa e torso, di una statua greca sono state riunite e ora vengono esposte al pubblico

Il Kouros ritrovato l'"uomo nuovo" di Sicilia

Sta per arrivare a Castello Ursino, a Catania, un uomo nuovo, un vero capolavoro di arte contemporanea, di assoluta modernità, il ritrovato (e reintegrato) Kouros di Lentini. Dopo averlo fortemente voluto, nel breve periodo in cui ho avuto l'incarico di assessore alla Cultura della Regione Sicilia, oggi finalmente è stato portato a termine con successo il ricongiungimento del torso del Kouros di Lentini e della testa della collezione Biscari, appartenuti a un'unica statua di età greca antica, del VI secolo a.C., grazie al sostegno della Fondazione Sicilia. Le due parti erano state rinvenute in epoche diverse a Lentini, ed esposte separatamente a Siracusa al Museo archeologico Paolo Orsi e a Catania al Museo civico di Castello Ursino.

La resistenza del mondo accademico ha rallentato la ricomposizione, nonostante l'evidenza e le indagini positive sulla concorde costituzione del marmo pario, nelle due parti di un unico blocco proveniente dalle Cicladi. Il Kouros, statua greca raffigurante un giovane ignudo, è una creazione artistica, con funzione funeraria o votiva, molto diffusa nel periodo arcaico e classico, tra il VII e il V secolo avanti Cristo. Raggiunta la certezza sulla concordanza dei due frammenti della statua, il meticoloso intervento conservativo è stato eseguito nei laboratori del Centro Regionale Progettazione e Restauro della Regione Siciliana.

Il grande archeologo, figlio d'arte, Sebastiano Tusa, oggi anche mio successore all'assessorato, ha dichiarato con soddisfazione: «Le evidenze scientifiche confermano l'appartenenza dei due reperti a un'unica scultura e il loro ricongiungimento costituisce a tutti gli effetti un vero e proprio nuovo ritrovamento archeologico che arricchisce il patrimonio culturale della Sicilia. È per me motivo di orgoglio poter affermare con certezza che si tratta di un'unica opera d'arte. Gli studiosi di livello internazionale che hanno collaborato a questa impresa sono la garanzia scientifica del progetto. La multidisciplinarità con la quale abbiamo operato è stata l'arma vincente: il meglio delle conoscenze scientifiche messe in campo per un risultato straordinario». Per me fu una intuizione. Ora è una certezza.

L'opera è stata realizzata in marmo pario delle cave a cielo aperto di Lakkoi, nell'isola di Paros, un marmo bianco cristallino a grana media di ottima qualità. Il petrografo Lorenzo Lazzarini ha concluso, senza margini di dubbio: «A seguito delle indagini minero-petrografiche e geochimiche del marmo del corpo e della testa del Kouros, si può affermare che le due parti anatomiche sono state ricavate da uno stesso blocco di marmo prelevato da un locus delle cave di Lakkoi, in assoluto le più produttive di statuaria, sia di culto che funeraria, nonché di elementi architettonici, dalla metà del VI secolo alla metà del V a.C.». Non fa eccezione la Sicilia, le cui importazioni di marmo statuario a Siracusa, Agrigento e Selinunte sono in quel tempo prevalentemente di marmo pario da Lakkoi.

Il Kouros di Lentini ha forza ed eleganza, e una semplicità sconcertante. Esso ha una «presenza», in atto e in spirito, che annulla il tempo e la distanza. Nell'occasione l'allestimento è stato affidato a un valoroso e severo scultore contemporaneo, siciliano, Giacomo Rizzo, come nessuno sensibile alla materia e alla sua luce. Duplicare la natura, prolungarla: questo è l'obiettivo di Giacomo Rizzo. L'arte è finzione, illusione. L'artista, lo scultore, entra in una cava, sceglie la pietra, e in essa trova la forma, per via di levare, come insegna Michelangelo. Rizzo entra nella cava, tocca le pareti, ne sente la rugosità, e non intende trasformare la materia cercando un'anima, una forma nuova, ma rispettarla, carezzarla. Rizzo distende sulla scabra superficie la resina che gli consente di rapire la forma. Così esce dalla cava con una simulazione della cava, che ha la potenza della roccia e ne riproduce la superficie. Il frammento che abbiamo davanti, così, ha la maestosità del sito che duplica, con una seducente forza illusoria. Il processo è convenientemente definito dall'autore «strappo», anche se essenzialmente è un calco che, nella sua mimesis, ci illude di essere davanti alla materia. Ciò che ai suoi esordi aveva fatto con il disegno, con il tratto a china, producendo effetti quasi tridimensionali, arriva a coincidere con la natura stessa, nelle dimensioni e nell'apparenza illusoria della materia, superando il diaframma della memoria per metterci di fronte alla realtà riprodotta e ritrovata.

Rizzo è in soggezione davanti alla natura, e vuole restituirci la sua emozione facendola diventare nostra. Dobbiamo essergli riconoscenti di poter vedere la realtà con occhi nuovi. Come all'anonimo autore, 2500 anni prima, del Kouros di Lentini cui Rizzo si è congiunto, concorrendo originalmente e rigorosamente alla reintegrazione, per potenziare la forza del Kouros, facendone dimenticare la mutilazione alle gambe, che resta anche dopo la ricongiunzione della testa al torso.

Qualcuno, come il critico Sergio Troisi, ha storto il naso, tentando di resistere alla prevalente emozione del maestro antico con la censura a quello contemporaneo. L'intuizione dello scultore Rizzo è audace, e tenta di risolvere il dislivello per le diverse quote delle gambe mozze, annegando le protesi nel supporto espositivo, non potendole rimuovere. È legittimo ritenere la scelta discutibile o non risolta. Ma è esagerato definirla «una pesante e del tutto gratuita interferenza visiva».

«Gratuita» no, per le ragioni che abbiamo detto; e «pesante» neppure, perché il severo Troisi ha confuso una leggera e vuota base in resina poliestere, patinata con una vernice lucida in piombo, per una «base in marmo grigio». Il giudizio è degli occhi, se gli occhi vedono.

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