I canti struggenti della curva sud, le lacrime commoventi di Mexes, Francesco Totti sprofondato sullerba a testa in giù. E poi la delusione di Rosella Sensi scandita da un aggettivo, mai aggressivo né feroce, rivolto allarbitro, «inadeguato» con Ranieri pronto a passare la palla al designatore Collina per stabilire se fu vero errore (rigore non dato alla Roma) e la confessione in diretta tv di Daniele De Rossi, capace di raccontare la verità al suo popolo, «larbitro non centra». Cerano tutte le premesse per trasformare la notte dellennesimo suicidio giallorosso in un poetico omaggio alla romanità e al romanismo così maltrattato dal destino ma capace di riscattarsi in contemporanea con lo scenario della curva e le parole dei protagonisti.
Cerano le premesse e forse varrebbe la pena soffermarsi su questi aspetti della domenica romanista per segnalare lamaro stil novo realizzato tra ultrà romantici e responsabili attori. La curva sud non ha perso lo smalto e invitato a invadere Parma, per sabato prossimo 1° maggio, e continuare a credere in quello che non è più un sogno ma rischia di diventare una crudele beffa. Poco reclamizzate le parole spese da Daniele De Rossi, nelle vene ancora ladrenalina della partita persa. Non ha rincorso fantasmi né inseguito complotti. «Gli arbitri non centrano, questanno hanno trattato le squadre in modo equo. Io ho protestato in modo deciso due anni fa, quando ci fu uno scandalo» il suo riconoscimento pubblico di un campionato nato sotto linsegna dellInter e tornato in quel dominio senza provocare dissapori né polemiche rovinose.
Le voci più critiche, di Ranieri e Rosella Sensi, il presidente, hanno rispettato il bon ton. «Inadeguato» laggettivo usato per Damato, lintervento di Collina ha richiesto il tecnico per la prima volta col volto segnato da una tensione. Nessuna guerra di religione, nessuna crociata è partita dalle parti di Trigoria. «Il nostro stile non è il vittimismo» conferma il dirigente giallorosso Montali. E invece, a poche ore di distanza, ecco che Roma si ribella alletichetta di città inglese o tedesca, e si riconsegna al suo destino di grande contenitore attraversato da istinti tribali, rivalità storiche. E infatti hanno cominciato i soliti siti, mettendo in circolo, una polpetta avvelenata riferita allarbitro Damato, ripubblicando un pezzo datato gennaio 2002 nel quale un cronista barese descriveva larbitro appena promosso in serie C come «un tifoso interista, amico personale di Cassano». Con la differenza, non da poco, che nel «pezzo» non cè una sola virgoletta attribuibile al fischietto pugliese (originario di Barletta). Di qui la reazione di Collina, il designatore, a metà strada tra lo scandalizzato («ma devo rispondere di una dichiarazione di fede calcistica vecchia di otto anni prima?») e linfastidito per la piega presa dalla polemica poco tecnica e molto da bar dello sport. Con un vantaggio: nelloccasione i quotidiani, non a diffusione romana, hanno promosso Damato con giudizi nel merito avvitati sui due episodi chiave, lo stop dato a Cassano dopo 30 in posizione regolare e il rigore negato ai romanisti (fallo di mano di Zauri). «È stato un episodio complicato» la definizione di Collina che non se lè sentita né di approvare né di smentire il suo fischietto.
Eppure neanche questo sviluppo sarebbe meritevole di stroncatura pubblica se non si tenesse conto del dibattito intervenuto da ieri e punteggiato dalle dichiarazioni dei fronti opposti. Già perché allimprovviso il tifo laziale ha preso a propagandare, attraverso il circuito radiofonico, della necessità «di perdere contro lInter e poi tutti in festa», messaggio pubblicato sul sito di Ledesma. Mettendo da parte persino gli interessi della patria che deve ancora salvarsi.
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