Como - Quando il presidente del Tribunale Alessandro Bianchi legge i capi d’accusa contro Olindo Romano e Rosa Bazzi, unici imputati per la strage di Erba, in aula scende il gelo. Dietro una selva di cifre e sigle ci sono quattro vite spezzate da una cieca follia omicida tra le 20 e le 20,25 dell’11 dicembre 2006, un tentato omicidio, due cadaveri bruciacchiati e un incendio appiccato ad arte per confondere gli inquirenti. E invece i pm hanno capito tutto. Per il pm Massimo Astori sono stati Olindo e Rosa a compiere quella strage. Su quegli omicidi, dice, «c’è la loro firma». Non ci sono punti oscuri, è tutto già scritto: il movente, il tentativo di crearsi un alibi, la premeditazione della strage, pianificata scegliendo per tempo abiti e armi da usare e il modo per disfarsene, con l’obbligo di non parlare della strage per più di un mese tra le mura domestiche per eludere «prevedibili» intercettazioni ambientali. Olindo e Rosa sono due killer spietati e freddi, che covavano da tempo una vera e propria ossessione per Raffaella Castagna, tanto da arrivare a pedinarla dal luogo di lavoro a casa. Un’ossessione innescata con aggressioni verbali e fisiche sul palcoscenico del cortile di via Diaz 25/a e concluse nella mattanza di quella notte.
E la confessione, poi ritrattata dai due coniugi all’udienza preliminare dell’ottobre scorso? «È stata piena e consapevole» dice il pm, altro che estorta come sostiene la difesa. E quella retromarcia è stata condizionata da «una campagna stampa innocentista». Questo processo, sentenzia il magistrato, «non è indiziario. Ci sono prove testimoniali, fisiche, logiche», dal diario-Bibbia di Olindo (anticipato in esclusiva dal Giornale, ndr) al riconoscimento del supertestimone, Mario Frigerio, e dei vicini di casa. Secondo l’accusa tutto torna, come in un compito in bella copia da consegnare all’insegnante.
E invece no, ribatte la difesa. «Nel corso delle indagini - dice l’avvocato Fabio Schembri - ci sono state palesi violazioni dei diritti della difesa». E quelle confessioni? «Sono state condizionate da lusinghe e suggestioni dei magistrati. Non reggono - dice Enzo Pacia, principe del foro di Como e new entry nel pool difensivo -. contengono il virus dell’inattendibilità». E sono figlie «di un’indagine a senso unico», corroborata dalla «scorretta acquisizione» delle tracce di sangue trovate sul battitacco della Seat Arosa di Olindo il 26 dicembre dal 2006, fatta secondo i legali dei Romano (ma non per il Tribunale, ndr) da un maresciallo dei carabinieri con modalità discutibili e senza la presenza della controparte. E soprattutto quel crimine è «incompatibile con l’azione di due persone sole».
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