L’ad non molla Scrive ai consiglieri e punta sui fondi

La dura lettera dell’hedge fund Tci al vertice di Abn, la regia di Geronzi e la scelta di Paolo Cuccia, nata già a novembre

da Milano

Matteo Arpe è deciso a presentarsi al cda di Capitalia di oggi, alle 17, senza nessuna intenzione di dimettersi. Vuole che la responsabilità del suo demansionamento, voluta dal presidente Cesare Geronzi, ricada per intero sugli altri 19 consiglieri. Punta soprattutto a evidenziare l’abisso tra il metodo scelto per una decisione presa fuori dal cda (cioè nel patto di sindacato dei grandi soci, che si tiene alle 12) e il rispetto del mercato, e cioè di tutti i soci.
In proposito Arpe ha messo a disposizione di tutti i consiglieri la lettera scritta di suo pugno a Geronzi, nella quale reclama la completa correttezza del suo operato, con particolare riferimento alle due interdizioni giudiziarie subite nel 2006 dal presidente.
Dalla sua Arpe conta di avere gli investitori istituzionali con i quali, in questi sei anni, ha dialogato con regolarità e sintonia. Tra questi è probabile che ci siano hedge fund che la pensano come il fondo Tci che, forte di una quota dell’1% di Abn Amro (primo socio di Capitalia), nonché famoso per aver causato il ribaltone ai vertici di Deutsche Boerse, ha ieri scritto una lettera aperta all’ad di Abn, Rijkman Groenink, accusandolo di non gestire al meglio il gruppo, e criticando le scelte effettuate in Italia. Il titolo Abn, dopo la lettera, è ieri cresciuto del 6%.
Arpe conta ora anche su questa nuova «debolezza» di Abn, schierato ancora una volta con gli investitori di mercato. Il punto è che questi non siedono nel cda, la cui composizione, rinnovata nel novembre scorso, è stata curata personalmente dallo stesso Geronzi. A cominciare dall’uomo destinato a prendere le deleghe di Arpe almeno fino all’assemblea di bilancio: Paolo Cuccia, entrato appunto a novembre in rappresentanza di Abn Amro.
Una scelta che già allora avrebbe potuto rivelare l’esistenza di manovre in corso: Cuccia, considerato a torto o a ragione un manager storicamente vicino a Geronzi, è da tempo il «country executive» di Abn in Italia. Ma il suo ingresso nel cda ha segnato una rottura con il passato: fino ad allora gli olandesi indicavano per il cda romano un membro del loro stesso board, mai un italiano. Per questo è verosimile che il regista dell’operazione sia stato già in autunno Geronzi, impegnato a ricucire i rapporti, allora un po’ tesi, con gli olandesi, e a tenere sotto controllo le mosse di Arpe. Quest’ultimo ha perduto la fiducia del presidente nel corso delle interdizioni che avevano costretto Geronzi a stare lontano dalla banca. Di fronte alla situazione creatasi, Abn ha scelto infine di seguire il suo originale garante, cioè Geronzi. E così si esprimerà oggi secondo un ragionamento lineare: è stato Geronzi, sei anni fa, a chiedere ai soci del patto di dare fiducia ad Arpe. Ed è oggi lo stesso Geronzi a chiedere ai soci di togliere questa fiducia.


Arpe giocherà comunque le sue carte fino in fondo, sperando che tra gli altri grandi soci o tra i consiglieri qualcuno prenda le sue parti, come forse potrebbe fare la Fondazione Manodori, già un po’ critica su Geronzi. E in base ai risultati delle «votazioni» di oggi l’ad deciderà le prossime mosse.

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