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L’addio del generale mette in crisi Olmert

Udi Adam, ex comandante delle operazioni in Libano, si dimette. E trascina il governo sul banco degli imputati. A cominciare da Peretz

Gian Micalessin

La vendetta è un piatto che si gusta freddo. Il generale Udi Adam lo sa. Lo sapeva fin da quella sera d’agosto quando gli annunciarono che non era più il comandante in capo delle operazioni sul fronte libanese. Che da quella sera a decidere - laggiù nei sotterranei del comando nord di Safed - sarebbe arrivato il generale Moshe Kaplinsky, un uomo di fiducia del capo di Stato Maggiore Dan Halutz gradito al ministro della Difesa Amir Peretz. Il generale Adam quella sera non disse nulla. Inghiottì amaro, ma si cucì la bocca, non si lasciò sfuggire una sola recriminazione. Non una parola sulle liti di quei trenta giorni di guerra. Non un fiato sui dissensi con quel capo di Stato Maggiore arrivato dall’aviazione che pretendeva di chiudere la guerra con qualche tonnellata di bombe e gli imponeva di tener fermi i soldati sulla soglia del confine. Non un lamento sulla strana coppia Ehud Olmert e Amir Peretz, un premier e un ministro della Difesa sempre pronti a chiedere nuovi piani senza mai decidere fino in fondo. Soprattutto il generale evitò di denunciare la cattiva fede di un siluramento orchestrato sin dai primi giorni del conflitto e messo in atto solo quando sangue, delusioni e mancate vittorie richiesero un capro espiatorio. Quella sera il generale Adam si chiuse con i suoi ufficiali più fedeli in una stanza del comando di Safed, respirò a fondo e disse «Parlerò solo quando questa guerra sarà finita, consegnerò gradi e divisa solo quando l’ultimo dei miei soldati sarà tornato a casa». Senza una parola fece capire tutto. Raccontò con il silenzio il clima di astio e vendetta creatosi tra un capo di Stato Maggiore convinto nell’assoluta superiorità dell’aviazione e un generale delle truppe corazzate costretto a muovere le pedine sul risiko settentrionale senza poter decidere.
Ieri rispettando l’impegno, a poche ore dal rimpatrio degli ultimi combattenti in territorio libanese, ha innescato la catena della vendetta. Quella lettera di dimissioni è l’unica presentata dalla fine del conflitto. L’unica assunzione di responsabilità dopo una guerra chiusasi senza il raggiungimento di un solo obbiettivo. Non la liberazione dei due soldati rapiti da Hezbollah, non il disarmo o la dissoluzione di Hezbollah. Una guerra inutile nonostante la morte di 162 israeliani e di oltre 1.300 libanesi. Un fallimento di cui nessuno si assume la responsabilità. In questo deserto della serietà l’addio del generale silurato e affondato diventa un atto d’accusa, un dito puntato contro il capo di Stato Maggiore Dan Halutz, contro il ministro della Difesa Amir Peretz, contro lo stesso premier Ehud Olmert. Il primo a coglier la palla al balzo è l’ex capo del Mossad Ami Ayalon; eletto nelle file laburiste lo scorso marzo è già pronto ad agguantare l’eredità del fallimentare Amir Peretz. «Il generale Adam non è certamente l’unico colpevole per gli eventi della guerra libanese. Ci sono molti colpevoli anche ai vertici politici… per me uno dei primi a dover far i conti con le proprie responsabilità e ritirarsi è proprio Peretz». Nel gioco dei birilli da far cadere alle spalle di Adam la seconda fila è tutta per il capo di Stato Maggiore. Ad aprire il fuoco su di lui ci pensa il ministro delle Infrastrutture Benjamin Ben Eliezer, un ex generale laburista da sempre assai poco convinto dei piani di guerra firmati Halutz. «Rispetto e saluto la decisione di Adam - dice Ben Eliezer – perché sa assumersi le proprie responsabilità, ma spero che anche il capo di Stato Maggiore faccia lo stesso lasciando ad altri il proprio incarico». Dall’estrema destra Aryeh Eldad e altri parlamentari sparano nel mucchio auspicando l’addio congiunto del trio Olmert, Peretz, Halutz. A render ancor più mesto il clima politico israeliano contribuiscono, in tutto questo, anche le notizie sul presidente Moshe Katsav costretto ieri al quinto interrogatorio di polizia per rispondere alle infamanti accuse di molestie sessuali a una sua assistente. Per evitargli di officiare la cerimonia d’investitura del nuovo Capo della Corte Suprema la Knesset ha nominato come suo sostituto temporaneo per 16 ore il presidente del Parlamento Dalia Itzik.

Ma anche in questo umiliante caso le dimissioni che molti si aspettano non sono ancora arrivate.

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