Almeno sulla carta sembrerebbe tutto logico, passaggio dopo passaggio: la Regione lancia un bando per formare professionisti da impiegare nel mondo del teatro. Attori e registi sì, ma anche direttori di sala, scenografi, truccatori ed elettricisti. Ha 10 milioni di euro da spendere grazie al Fondo sociale europeo e promette di darli a chi presenterà un progetto di alto profilo e, soprattutto, a chi potrà garantire effettivi sbocchi occupazionali. Allora le eccellenze del Lazio declinate in teatri, università, accademie, compagnie e associazioni musicali decidono di unirsi per partecipare al bando, impegnandosi a occupare il 40 per cento dei corsisti. Sembra scontato, addirittura superfluo, raccontare lesito della partita. E invece non lo è affatto: a sorpresa vince un ente con un ottimo blasone, va riconosciuto, ma che si occupa di altro (persino corsi di acconciatore, estetista o addetto alla sala da bar). Non solo: la Regione, specializzata con la vecchia giunta in lungaggini elefantiache, diventa veloce, velocissima, un fulmine. Ci impiega 51 giorni, dalla scadenza delle domande allapprovazione, a emettere questo controverso verdetto, un record rispetto ai 312 necessari per un avviso pubblico nella sostanza identico, ma datato 2009.
Poco o nulla, peraltro, si sa della commissione giudicante, nominata in pieno periodo elettorale. «Bisogna fare chiarezza su questi fondi, sembrano strumenti a servizio della politica», dice senza nessun eufemismo Massimo Arcangeli, segretario dellAgis Lazio (Associazione generale italiana dello spettacolo). È lui, assieme al presidente Pietro Longhi, ad averci messo la faccia. Ad avere chiamato a raccolta 54 teatri, i principali, felici di aderire: dallOlimpico allEliseo, dal Vascello al Quirino; 15 compagnie di prosa, 14 imprese musicali affiliate ad Assomusica, la più importante associazione che raggruppa tutti i promoter e organizzatori di concerti in Italia; persino laccademia darte drammatica Silvio DAmico e due università, La Sapienza e Roma Tre. Una corazzata inattaccabile. Ed è lui, ora, a infuriarsi numeri alla mano: «Le attività di spettacolo coinvolte hanno un volume daffari pari a 83 milioni, vendono 3 milioni di euro di biglietti e danno lavoro a oltre 6mila persone. Chi meglio di loro potrebbe tenere fede alla promessa di assumere i corsisti della Regione? Ci siamo presentati con un curriculum luminoso, trasparente, e ci siamo trovati di fronte a questa situazione così oscura, quasi indecente».
AllAgis lo ripetono come una cantilena, ma è difficile dargli torto: i processi di formazione si fanno con le imprese. Loro mettevano sul tavolo professionalità e sbocchi certi, oltre alla possibilità di recuperare lAmbra Jovinelli per creare quella «Casa del teatro», quel punto di riferimento fisico per artisti e tecnici che la Regione nel bando chiedeva. Non è bastato, ma tutta lAgis è preparata alla battaglia. Ha già scritto una lettera alla presidente Polverini e reclama laccesso agli atti per recuperare quella trasparenza che ha latitato. Arcangeli preannuncia un ricorso al Tar e giura senza solennità, ma con il tono tenuto alto dalla rabbia: «Non finisce così».
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