L’alcol ora sostituisce la droga nello «sballo» dei giovanissimi

Un bicchiere tira l’altro, di birra o superalcolico, ed ecco il nuovo sballo dei teenagers: bere per ubriacarsi. Nei Paesi del Nord Europa questa pratica si chiama binge drinking ed esiste da sempre. Oggi la moda è arrivata da noi. Basta farsi un giro, il venerdì o il sabato sera, nei luoghi della movida romana, per rendersi conto di un fenomeno che desta preoccupazioni.
Ponte Milvio e Trastevere, Campo de’ Fiori e San Lorenzo sono prese d’assalto da ragazzini che non concepiscono il divertimento senza eccessi. Sobri vuol dire “sfigati”. Per loro lo sballo ha i colori accesi e invitanti dei cocktails. Meglio ancora gli “shottini”: costano uno o due euro. Conviene, e fa più “figo”: vuoi mettere l’ebbrezza di scolarli “alla goccia”, tutto in un sorso. Tanto una bevuta nel weekend con gli amici non fa male, pensano. Ma si sbagliano. «L’abuso di alcool negli adolescenti causa danni alle abilità cognitive, alle volte irreversibili, comportamenti antisociali, disturbi di ansia, depressivi e psicotici, compromissione dello sviluppo relazionale e sociale», spiega il dottor Rocco De Filippis del servizio alcologico ambulatoriale e di day hospital del policlinico Gemelli, in cui vengono curate persone con dipendenze da alcool e droga.
La ricerca dell’Istat «L’uso e l’abuso di alcool in Italia» rileva un aumento del consumo fuori pasto tra gli adolescenti negli ultimi dieci anni. Considerata la fascia di età tra i 14 e i 17 anni, tra il 1998 e il 2008 il consumo è passato dal 12,6% al 18,7%. Rilevante la quota dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni che ha assunto alcolici negli ultimi 12 mesi: il 19,7% dei maschi e il 15,3% delle femmine. Il binge drinking (convenzionalmente la bevuta di sei o più bicchieri di bevande alcoliche in una sola occasione), inoltre, è stato praticato dal 10,6% dei maschi e dal 3,9% delle ragazze di 16 e 17 anni. Dati che trovano riscontro tra i medici degli ospedali della capitale, dove molti ragazzini in coma etilico finiscono la loro serata. Arrivano al pronto soccorso direttamente dai locali dove avevano alzato il gomito. Capita anche che arrivino minori di 16 anni, coloro ai quali la vendita di bevande alcoliche è vietata per legge. Ma quasi nessuno chiede la carta d’identità al bancone.
Qual è la quantità di alcool consentita agli adolescenti? Il dottor De Filippis è lapidario: «I minorenni dovrebbero astenersi dal bere alcolici e superalcolici: sono più vulnerabili degli adulti da un punto di vista sia neurobiologico sia comportamentale». E invece bere è considerato dai teenagers un innocente divertimento come tanti. Lo spettro dell’alcolismo da loro non è nemmeno contemplato, e alla loro età la malattia raramente si presenta. Al Centro Incontro situato in un palazzo popolare a Torrevecchia raccontano che non ci sono baby-alcolisti: «I più piccoli non hanno meno di 20 anni e sono figli di alcolizzati», spiega Michele, uno degli organizzatori. Lo studio dell’Istat conferma che è potenzialmente a rischio il 22,7% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni che vivono in famiglie dove almeno un genitore abbia un rapporto stretto con la bottiglia.
Giovani alcolisti, nel senso letterale del termine, ce ne sono quindi pochi.

Ciò non toglie, però, che un adolescente dalla sbronza facile sia più a rischio degli altri per il futuro: «Se persevera con le cattive abitudini da grande può diventare un alcolista - conclude De Filippis - perché sviluppa una maggiore predisposizione a dipendenze».

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