L’alibi Facebook non cancella l’augurio di morte

RomaL’una passerà alla storia per la riforma del lavoro, l’altra per una maglietta e tutte e due per un pianto. Quello del ministro del Welfare Elsa Fornero, il 4 dicembre scorso alla presentazione della manovra lacrime-e-sangue (lei le prime, gli italiani il secondo), lubrificò la richiesta di sacrifici alla nazione e sancì il debutto della ministra piemontese nello star system della politica. Quello di Paola Francioni, casalinga romana di 57 anni, asperge il pentimento per la lugubre maglietta indossata qualche giorno fa («La Fornero al cimitero»), con indosso la quale la donna si è fatta fotografare con il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto.
La donna, che ha trovato un ben strano modo per assicurarsi i warholiani quindici minuti di notorietà, è stata ieri intervistata dal Corriere della Sera. Tentativo del cronista, spiegare i motivi di quella t-shirt. Risultato: tanti singhiozzi, ironicamente conteggiati dal cronista, l’assicurazione che la donna «da due giorni è chiusa in casa, stesa sul letto», poche ragioni. Fondamentalmente una sola la linea difensiva: «Sono una stupida. Io non auguro mai la morte a nessuno». La cosa ci rassicura. Ma allora? «Pensavo di essere ironica, mi sono fatta suggestionare da tutti i discorsi che leggo su Facebook, su Internet: questa Fornero che ci ammazza, ci manda tutti al cimitero...».
La signora Francioni confessa a scanso di strumentalizzazioni di non sentirsi di sinistra, ma di essere una che vota «per chi mi convince durante le campagne elettorali». Una di quelle persone che spostano le elezioni, per le quali si fanno gli slogan, i titoli sui giornali, i talk show televisivi. Ammette anche: «Ho votato anche per Berlusconi, per dire». Per dire che cosa, scusi? Poi racconta di conoscere Diliberto in quanto professore con il quale la figlia ha dato un esame universitario cinque anni fa. «E adesso mi dispiace tremendamente per lui, finito in questo tritacarne...». La signora Paola è convinta che Diliberto non si sia accorto di nulla, con una teoria piuttosto bizzarra: «Sì, in quel video dà la sensazione di osservarla, ma io sono sicura che abbia solo deposto lo sguardo, senza leggere, senza capire».
Ma al di là di tutto, davvero è pensabile che una mite cinquantasettenne si faccia influenzare dai social network come un quindicenne? È davvero credibile che una mamma di famiglia non si renda conto dell’enormità di augurare la morte a una quasi coetanea a sua volta madre? Se c’è una cosa che questa vicenda ci deve insegnare è che la realtà non è un palco virtuale nel quale giocare a spararla grossa contando sul semianonimato della rete, sul cumulo infinito di stimoli, informazioni e spazzatura che rende ogni parola on line come scritta sulla sabbia. Se ce n’è un’altra è che la vita, per fortuna, è una sola, fatta del cuore con cui emozionarsi e della testa con cui ragionare. A volte, del cotone di una maglietta su cui stampare scempiaggini, della responsabilità che consegue a ogni azione, tanto più se resa pubblica con l’uso di un testimonial noto, di una macchina fotografica, di una videocamera.

Nell’Italia che cerca la rinascita economica e morale non sarebbe male incominciare ad accollarsi i propri oneri senza scoppiare ogni volta in un pianto dirotto, sperando di annegare tutto in un mare di lacrime, come nel più tetro degli irreality show.

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