I dati appena rilasciati su consumi e abusi di bevande alcoliche sembrano puntare ad una sola conclusione: che in Italia si beve troppo, perché si beve quotidianamente, spesso fuori pasto, e perciò chi beve, beve quasi sempre in modo non moderato e a rischio. Questa comunicazione non è fondata e utilizza unilateralmente alcuni dati trascurandone altri. Sottolinea i trend di aumento dei consumi e degli abusi, tacendo che il consumo di bevande alcoliche è in discesa da 20 anni e l'Italia si mantiene virtuosa nel confronto internazionale, una realtà ben conosciuta anche nelle sedi internazionali di monitoraggio dei temi della salute. Si legge poi l'aumento del consumo di alcolici diversi dal vino come aumento del consumo problematico: non si comprende il nesso causale, visto che chiunque si sia occupato di monitorare i consumi dal lato qualitativo sa che vi sono abusanti sistematici con bevande a bassa gradazione e bevitori non problematici anche con i liquori. Dichiarare «rilevanti» i consumi della fascia giovanile fra gli 11 e i 15 anni allude al fenomeno ben noto del primo assaggio: che almeno in Italia resta intrafamiliare. L'assaggio in famiglia magari a capo d'anno va contato come un comportamento a rischio?
Definire pericoloso il «consumo fuori pasto» anche quando questo si verifica una sola volta in un anno, significa «guardare la formica con il telescopio»: se si adotta un tunnel temporale così lungo per sancire un comportamento problematico, si finisce per includere milioni di comportamenti occasionali (un brindisi al collega che va in pensione con due dita di prosecco
) che nulla hanno a che vedere con i fuori pasto sistematici e reiterati. Utilizzare poi il concetto di «soglie di rischio», vale a dire livelli di consumo espressi in unità alcoliche, secondo l'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti è certo legittimo, ma si dovrebbe almeno citare il fatto che tali raccomandazioni non sono univocamente condivise dalla comunità scientifica. Nove milioni di italiani sarebbero a rischio alcolismo? Per arrivare a questa allarmante conclusione bisogna ritenere a rischio gli uomini in età 16-64 anni che bevono più di due, tre unità alcoliche, le donne di pari età che ne bevono più di una, due, gli anziani che ne bevono più di una, e finalmente i giovani fra gli 11 e i 15 anni che abbiano comunque consumato alcool anche una sola volta l'anno: c'è da chiedersi dove condurrebbero gli esiti di tanta dottrina
In conclusione, è ben noto che luso reiterato di una comunicazione allarmistica genera indifferenza e assuefazione, atteggiamenti di aperta sfida trasgressiva.
*Vice Presidente dell'Osservatorio sui Giovani e l'Alcool
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