L’allevatore di colombi assediato dai rom: «Guai a loro se toccano i miei campioni»

Le finestre della cascina occupata dai rom danno proprio sul suo orto. Sarà per questo che, racconta lui, «di notte entrano e mi portano via pomodori, zucchine e quant’altro». Lui è Gian Maria Airaghi, uno di quella dozzina di pensionati che hanno ottenuto dal Demanio un pezzo di terra in via Francesco de’ Lemene.
Milanese da quattro generazioni, faceva il programmatore. «Ho lavorato anche per grandi multinazionali americane, prima di aprire un’azienda tutta mia», dice oggi che ha 72 anni. Ora come hobby coltiva cetrioli e alleva colombi viaggiatori, con cui partecipa a gare e concorsi.
Una colonia di più di cinquanta piccioni, sistemati tra gabbiotti e torrette e divisi tra velocisti, mezzofondisti e fondisti. Quasi come una squadra di atletica. «Ogni uccello ha un suo carattere e una sua specializzazione. Alcuni li tengo solo per riprodursi, altri partecipano alle gare. C’è anche una Federazione che disciplina il tutto», spiega mentre sopra la sua testa è tutto uno sbattere di ali. Airaghi non si ritiene un semplice allevatore. «Per formare colombi da competizione occorre essere polivalente. Ecco perché io con loro sono un po’ padre, un po’ veterinario, un po’ allenatore e un po’ psicologo». E vederlo in azione, mentre versa il mangime o fischia per richiamare i suoi campioni dal volo mattutino, è stupefacente.
La passione per i colombi è nata a 14 anni. Un amico di famiglia gli regalò due esemplari. Lui li crebbe e cominciò a partecipare alle gare. «Sono animali straordinari, monogami e fedeli. Hanno un attaccamento al partner e al nido eccezionale. Per me sono stati un esempio, mi hanno aiutato a crescere e a responsabilizzarmi», racconta Airaghi. Ma quando andò a militare, alla scuola ufficiali, dovette abbandonare il suo hobby. Lo riprese solo negli anni Settanta. Dal 2004 i suoi piccioni alloggiano vicino alla cascina Boldinasco, di proprietà del Comune e con un progetto di ristrutturazione già approvato, ma da tre anni occupata da zingari ed extracomunitari. I problemi non mancano. «Ci saranno più di 200 abusivi là dentro. Si vede un po’ di tutto. Furgoni che vanno, furgoni che vengono. Chissà poi cosa portano. E poi donne e bambini maltrattati, urla, macchinoni che passano in continuazione». Ma ai suoi colombi i rom non badano granché. Forse non sanno che possono valere anche centinaia di euro.
Un episodio, tre anni fa, ha segnato però Airaghi profondamente. «Qualche farabutto ha gettato della benzina nella mia piccionaia e poi ha dato fuoco. Era sera, io non c’ero. Arrostirono 40 poveri uccelli. Furono proprio gli immigrati a dare l’allarme e ad avvertire i pompieri». Chi è stato? «Non l’ho mai saputo. Forse un balordo, forse proprio qualcuno che abita nella cascina. Quello che so è che ho provato una tristezza immensa». Già, perché per il pensionato i piccioni sono quasi come i suoi sette figli.

Li riconosce uno a uno e li chiama pure per nome. E ai suoi figli non ha mai permesso di seguirlo nella sua passione. «Ho un rapporto speciale con i miei campioncini. Per questo sono molto geloso di loro». I rom sono avvisati: meglio che stiano alla larga.

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