nostro inviato a San Salvo (Chieti)
Il 5 marzo scorso faticammo non poco a convincere Pasqualino Cianci a commentare i tre mesi di sospensione inflitti al suo «avvocato» Antonio Di Pietro. Sei mesi dopo, l’amico-cliente tradito dall’amico-avvocato, non ha più remore né timori. «Chieda pure, chieda...».
Ora che la sentenza è pubblica e visibile a tutti, che può dire di quella vicenda?
«Una vicenda squallida. Credevo di poter contare su un amico vero, se non altro perché ad Antonio ho regalato gran parte della mia vita, aiutandolo e supportandolo specie nei momenti di sua grande difficoltà. Sono stato la sua ombra, sempre vicino anche durante Tangentopoli, vicino pure a Susanna (la moglie, ndr), uno di famiglia, insomma. Poi sulla mia pelle ho scoperto di che pasta era realmente fatto: per meri interessi pubblicitari, chiamiamoli così, in un momento in cui non godeva della luce dei riflettori, non ha avuto alcuna esitazione a buttare a mare l’uomo che più gli era stato amico in cambio di un po’ di visibilità. Ha miseramente tradito l’uomo che s’era precipitato a soccorrergli il padre che era morto cadendo dal trattore, lo stesso uomo che al posto suo s’era recato in ospedale a prendere il feretro della madre. Ecco chi è Tonino. Ha provato ad avvicinarmi chiedendo a un amico di organizzare l’incontro ed essere presente. Io non voglio testimoni, devo guardarlo in faccia. Mi deve dire perché l’ha fatto».
Come andarono effettivamente le cose fra voi?
«Quando mia moglie venne trovata uccisa ed io tramortito accanto a lei, davanti al letto d’ospedale si materializzò all’improvviso lui, da poco diventato avvocato. Ovviamente la cosa mi sorprese positivamente e non ebbi nulla da obiettare quando chiese se poteva assistermi. Dissi di sì anche perché mi offrì di andare a casa sua “perché - sussurrò - a me non mi intercettano”. Rimasi stupito dall’affermazione, e ribattei che io non avevo nulla da nascondere, tantomeno al telefono».
Quindi?
«Si mise al lavoro e a caldo svolse in modo impeccabile il mandato difensivo interrogando testimoni, facendo indagini accurate, chiedendo pure a me un sacco di cose. Aggiunse che dovevo andare fiero di mia figlia Debora che nei primi drammatici momenti aveva avuto la forza di contattarlo a Milano. Inutile dire che, solo successivamente, mia figlia mi ha confessato di non averlo mai chiamato non avendo i suoi recapiti, che erano riservati. È diventato mio avvocato bluffando».
Tutto molto strano.
«Niente al confronto di quel accadde successivamente. Un giorno mi chiama sempre Debora, arrabbiatissima, dicendo che si sono presentati i giornalisti e le telecamere di Chi l’ha visto? a casa. Autorizzati. Pensava che ero stato io. E invece aveva fatto tutto Antonio, cercava solo pubblicità, e la cercava in un momento dolorosissimo per me e per i miei figli...».
Ne è sicuro?
«Assolutamente. Lo cercai per un chiarimento ma non si fece trovare. Quindi a tarda sera, dopo la trasmissione, lo affrontai a casa: gli chiesi se era stato lui a mandare i cronisti perché aveva bisogno di tornare sulla cresta dell’onda. Lo sollecitai ripetutamente a confermare o a smentire anche con un cenno del capo. Non mi rispose né sì né no. Abbassò lo sguardo eppoi mi spintonò violentemente contro il muro. A quel punto l’ho guardato fisso e gli ho detto: “Ho capito tutto, Antonio. Dammi il tempo di prendere le mie cose e me ne vado da questa casa”. E così ho fatto».
Il tradimento vero e proprio, processualmente parlando, quando avvenne?
«In brevissimo tempo e senza una revoca ufficiale del mandato da parte sua. L’ho scoperto andando in tribunale, per caso, una mattina. Era seduto accanto alle parti civili, un tutt’uno col pm. Che scena... non ci volevo credere. Da difensore ad accusatore. Lui, il mio inseparabile amico, trasformato nel più feroce dei detrattori. Ma c’è molto altro...».
Più di così?
(Sorride amaro) «Molto di più. Un giorno chiese a me e ad un amico comune di accompagnarlo all’aeroporto. “Prima però - spiegò quand’eravamo in macchina - devo passare un secondo in procura”. Pensai che doveva consegnare alcuni documenti, invece era salito dal procuratore per denunciarmi! E questo avveniva dopo che, da difensore, aveva consegnato personalmente il mio passaporto in questura. Dopo che da difensore, in alcune interviste, aveva lasciato intendere che l’omicidio poteva anche essere maturato all’interno della famiglia. Capito? Non auguro a nessuno un avvocato così...».
L’esposto all’ordine degli avvocati è così arrivato in automatico...
«Macché. Prima sono andato alla stazione dei carabinieri a denunciare tutte le sue malefatte nei miei confronti. E mentre esibivo carte e documenti i militari si mostravano allibiti, letteralmente preoccupati.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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