da Berlino
Quando in Germania si giocheranno i campionati del mondo di calcio, sullIran delle centrali elettriche - e non solo lì - potrebbero cadere le bombe. Forse non ci pensava Jafar Panahi quando girava Offside («Fuorigioco»), ambientandolo subito prima, durante e subito dopo la reale partita Iran-Bahrein (1-0) per lammissione ai Mondiali. Ma ci pensava ieri chi ha visto il film al Festival di Berlino, ultimo in concorso di un regista che col Cerchio (2000) ha vinto il Leone doro alla Mostra di Venezia.
Era quello un film di donne che aspiravano a emanciparsi a Teheran; è questo un film di ragazze che aspirano a emanciparsi a Teheran. Nulla di nuovo nel tema e neppure nella tecnica, ma una dignitosa correlazione fra lamor di patria - in Europa considerato di sinistra, quando praticato dagli extraeuropei che non siano statunitensi o giapponesi - e tifo, la sua forma liofilizzata, accettata anche in Germania (e in Italia). Panahi è un khomeinista critico, non un oppositore del governo.
Si veda il finale di Offside, fra canti e bandiere tricolori (lIran ha colori uguali a quelli italiani) che accompagnano la riconciliazione fra ragazze che volevano andare allo stadio e i militari che le hanno fermate, perché alla donna vanno evitate le sconcezze urlate dagli uomini sugli spalti. In questo si vedrà discriminazione.
Ma la delicatezza nella scena del militare, che accompagna nelle latrine una ragazza «fermata», esprime un rispetto della femminilità rara sugli schermi europei. Se la Rampling, presidente della giuria, lo capirà, arriverà un premio che sarebbe anche un messaggio: pro-Teheran di Berlino a Washington.
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