Cronaca locale

L’amore è un fiore di cactus Parola di Benedicta Boccoli

Il dentista «sciupafemmine» che s’innamora della sua infermiera un vaudeville che regge al tempo

Miriam d’Ambrosio

L'amore è come un fiore di cactus, bello, vivace e spuntato tra le spine, improvviso. La commedia di Barillet e Gredy, vaudeville perfetto nei tempi, nell'intreccio, nel gioco di equivoci a incastro, si chiama proprio Fiore di cactus e va in scena al Teatro San Babila da stasera fino al 27 novembre, con Benedicta Boccoli e Edoardo Siravo protagonisti e la regia di Tonino Pulci.
Fu il regista Gene Saks a far conoscere al pubblico cinematografico la storia di un impenitente «sciupafemmine» di professione dentista, interpretato nell'omonimo film del 1969 da Walter Matthau, Ingrid Bergman e una giovane, straordinaria e brillante Goldie Hawn che vinse un Oscar.
«I protagonisti sono in mezzo a un tale disastro da suscitare tutta la simpatia del pubblico - racconta Benedicta Boccoli - io vivo il ruolo di Stefania, un'attempata zitella, segretaria - infermiera del medico di cui è segretamente innamorata da tempo. Lei è una finta perdente destinata a vincere sul finale, lieto, naturalmente».
In realtà, il dentista Giuliano Foch, scapolo convinto, è fidanzato con una ragazza, una certa Tonia, ma, non volendo impegnarsi, finge di avere famiglia (e anche numerosa, con tre figli a carico). Tonia è invaghita di lui, non vuole perderlo e tenta il suicidio. Le menzogne si moltiplicano in un valzer di trovate esilaranti sostenute dalla complicità dell'infermiera Stefania.
«A un certo punto Tonia vuole conoscere la moglie di lui, dato che Giuliano racconta di aver chiesto il divorzio - continua l'attrice - e io incarno la presunta compagna di una vita. Un vero vaudeville, di quelli che si amavano un tempo, prima della guerra, quando in Italia gente come Vittorio De Sica o Nino Manfredi li mettevano in scena. È un genere che riscuote successo di pubblico anche oggi».
In Italia Fiore di cactus è stato portato sul palco la prima volta da Alberto Lupo e Valeria Valeri, poi ripreso da Valeri insieme a Paolo Ferrari. «In scena con me e Edoardo ci sono Cecilia Cinardi che è Tonia e Simone Vaio, il ragazzo vicino di casa che poi si innamorerà di lei».
Tutto si ricompone. Tra Stefania e il suo dentista sboccia il sentimento e Tonia si indirizzerà verso il coetaneo.
«Io, capelli tirati e un bel paio di occhialoni, subisco una metamorfosi, una trasformazione fisica, mi vesto più carina quando entro in un locale, sciolgo i capelli, lascio gli occhiali - dice Benedicta - ma non ho pensato di fare la classica “bellona”. Stefania rivela solo la sua femminilità nascosta». La scena è fissa, divisa tra studio dentistico e camera da letto di Tonia. «C'è anche un angolo di negozio, dove lei lavora», aggiunge Boccoli. Tutto comunque è semplice, essenziale, funzionale al testo.
«Il teatro mi ha salvato la vita nel momento in cui sono passata di moda in televisione - dichiara all'improvviso Benedicta Boccoli - è una grande fortuna. Il teatro è terapeutico, si sa, e non si può bluffare.

Sei lì, in quel momento e devi fare questo mestiere onestamente, lavorando duro».

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