L’analisi Copiamo il resto del mondo: tagliare le tasse aumenta la crescita

Il Nobel per l’economia Robert Mundell ama ricordare che «l’unica economia chiusa è il mondo», un modo per sottolineare che il mercato globale è una realtà ontologica del nostro tempo segnata da una competitività a tutto campo. Mundell, famoso proprio per l’analisi delle politiche fiscali, ricorda che le economie competono non solo nel produrre beni e servizi ma soprattutto nella tassazione. I regimi fiscali leggeri attraggono più investimenti.
L’Italia, paese per fortuna ancora a forte vocazione manifatturiera, ha una pressione fiscale di gran lunga superiore alla media europea e soprattutto più alta di nazioni come Germania, tradizionale competitor sui mercati globali, Gran Bretagna o Spagna. La «competitività fiscale» è una delle grandi questioni del nostro tempo, ma della quale non esiste seria consapevolezza. L’analisi economica degli ultimi trent’anni dimostra che ogniqualvolta si sono ridotte le tasse si sono rivitalizzate le economie.
I casi più noti, Gran Bretagna e Stati Uniti, non sono le uniche esperienze di abbassamento della pressione fiscale: nel 1984 in Nuova Zelanda furono diminuite le tasse dal 60 al 24%, con effetti positivi su crescita e occupazione; nel 1988 l’Austria diminuì le tasse del 20%: le entrate aumentarono del 65% e si conseguì il pareggio del bilancio. Il «miracolo economico spagnolo» degli anni Novanta trovò un punto di forza nella riforma di José Maria Aznar nel 1998, concernente soprattutto il reddito sulle persone fisiche con l’abbassamento dell’aliquota massima dal 53% al 48,5% e della minima dal 25,9 al 19,9%. Il deficit scese dal 7% alla parità di bilancio, riducendo di 13 punti il debito, 4 milioni di posti di lavoro in otto anni e una complessiva crescita delle imprese sul panorama internazionale.
Da notare che sia in Gran Bretagna sia in Spagna la scelta di ridurre il carico fiscale fu bipartisan, mantenuta da Aznar a Zapatero (che nel 2005 ha ampliato le possibilità di sgravi fiscali), dalla Thatcher a Blair, a Gordon Brown. Nel 1998 il governo giapponese di Keizo Obuchi varò sgravi record: 9.300 miliardi di yen, soprattutto a vantaggio dei redditi sulle persone fisiche dove l’aliquota massima fu portata dal 68 al 50% cumulativa delle tasse nazionali e locali. Nell’esperienza giapponese la riduzione delle imposte a vantaggio delle aziende fu saldata all’innovazione con 400 miliardi di yen in incentivi fiscali sui fondi di ammortamento dei personal computer.
Spesso le nazioni che hanno abbassato le tasse hanno adottato leggi di responsabilità fiscale con le quali i governi hanno annunciato obiettivi di medio termine e una strategia per centrarli. Il tema della pressione fiscale è anche una grande questione politica, capace di spostare il consenso elettorale perché richiama i diritti di libertà fondamentali dei cittadini. Prima Margaret Thatcher e poi Ronald Reagan ne fecero un punto di forza della loro «rivoluzione conservatrice». La «lady di ferro» amava ricordare che spesso una maggiore tassazione non si trasforma in risanamento ma solo in maggiore spesa. Il contrasto tra autorità e libertà è la base di ogni discorso sull’imposizione fiscale. Si può convenire con Victor Uckmar che «l’imposta è “giusta” solo se utilizzata per affrontare una “giusta” spesa».
La dilatazione della pressione fiscale, inoltre, non trova alcun fondamento nei principi di equa contribuzione del cittadino radicati nella nostra Costituzione, in particolare nell’articolo 53 che ribadendo l’impegno di ciascun cittadino a pagare richiama la nozione di «spese pubbliche». Non si tratta qui di riproporre l’antica polemica fra liberali e keynesiani, bensì di essere realisti.

Il confronto-scontro globale è iniziato da tempo, l’economia italiana è anchilosata e sfiduciata, asfissiata dalla consapevolezza che non si può intraprendere nulla di nuovo senza essere immediatamente assediati dal fisco famelico. Quella di questi giorni, probabilmente, è l’ultima chiamata.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica