L’analisi Un fantasma si aggira per l’Italietta dei politici: il futuro

Un fantasma si aggira per l’Italietta, nuovo protagonista della vita politica di questi mesi ingrati. È un soggetto, incombente ma sempre sfuggente e perciò un tantino inquietante, con il quale tutti, d’ora in poi, saranno costretti a misurarsi. I partiti e gli schieramenti, altrimenti che partiti e schieramenti sarebbero. E anche le istituzioni, garanti della vita democratica dei cittadini, alte e inviolabili: pure loro messe al banco di prova da questo nuovo personaggio che più che una persona è un luogo, una dimensione, una categoria escatologica. Soprattutto è una realtà molto evanescente. Perché non si sa mai bene dov’è. A volte è dietro l’angolo, altre volte è già qui, altre volte ancora è di là da venire. Però in tanti, sempre di più, ne parlano, come sapessero già che cosa ci riserva o come dev’essere. Insomma, bando alle chiacchiere: il nuovo protagonista del Belpaese del Terzo millennio è il Futuro. Scritto così, con la maiuscola, perché compare a nobilitare fondazioni e neopartiti, gruppi parlamentari e centri studi.
Non c’entrano Marinetti e D’Annunzio. C’entrano soprattutto il rifiuto del presente e la voglia di fuga in avanti. E dunque, sono in tanti, sempre di più, a occuparsi del domani perché, dotati della palla di vetro di Nostradamus della politica, scrutano le prospettive anticipando il medio e lungo periodo. Oppure perché sanno come condizionarlo, costruirlo, forgiarlo. Infatti, i più competenti e aggiornati di coloro che si cimentano con il nuovo protagonista, il Futuro lo vogliono semplicemente fare. Senza se e senza ma. Ambiziosetti, no? Al punto da fondere la loro mission in un unico vocabolo: Farefuturo, nientemeno. E per farlo, dall’alto dei loro studi e dei loro pensatoi, hanno avviato un processo di revisionismo al contrario della destra che ne ha rimescolato l’intero pantheon culturale. Basta con Croce e Celine, Evola e Schnitt, ripeschiamo Lucio Battisti e Vasco Rossi, arruoliamo Hugo Pratt e i Legionari di Cristo. Segue dibattito, intanto il futuro si avvicina.
Nei giorni scorsi anche loro però hanno gettato la maschera e fatto capire che, nel farlo il futuro, vogliono soprattutto liberarlo come aveva già fatto intendere il principale della ditta, il compagno di Ely Tulliani, il Gianfry Fini, smemorata terza carica dello Stato visto che fa politica attiva, alza la voce ai congressi e fonda correnti e partitini. Inutile chiedere da chi si vuole liberarlo il futuro, in un futuro che si spera più prossimo che remoto. Per non essere frainteso il Gianfry ci ha persino scritto un libro, Il futuro della libertà di cui il neonato Fli è un derivato, nel quale il signor B. non è nominato nemmeno una volta. Più chiaro di così. Ovvero: il futuro è un futuro senza. La libertà è libertà da. E l’Italia è il Paese del post.
Non che il signor B. abbia bisogno delle citazioni del Gianfry: ci penseranno gli storici quando il futuro, questo qui, sarà già archiviato. Intanto, quel che è chiaro è che il futuro senza signor B. passa dal presente contro. E qui l’ammucchiata è sicura. Come ha specificato nei giorni scorsi l’house organ della casa, dimentica di come avvenne e grazie a chi il suo sdoganamento, ormai è nata una destra anti-Cav e chissà il futuro che cosa ci riserva. Per certo, invece si sa che il futuro non è così stringente essendo, per antonomasia, la terra della promessa, il luogo della fantasia, la dimensione del sogno, l’isola dell’utopia. Il tutto condito di «politicamente corretto», che è il vero propellente, il perfetto amalgama degli opposti, da Nichi a Gianfry, dal voto agli immigrati ai matrimoni gay ça va sans dire.
Insomma, il futuro è perfetto per sbizzarrirsi e disegnare un’Italia a nostra misura e piacimento. E non a caso Luca Cordero di Montezemolo, altro socio della compagnia, ha dato vita a «Italia futura», fondazione anch’essa proiettata nel post. Dove sembra si possa non tener conto di quell’accidente superfluo che è la volontà degli altri, i cittadini elettori. O di quegli altri fastidiosi condizionamenti che sono, per esempio, le crisi economiche, le congiunture e le alleanze internazionali, le catastrofi naturali. E certe antipatiche inchieste giornalistiche. Quisquilie. Quello che conta è la nostra ricetta, la realtà è secondaria. Il futuro è la palestra ideale per apprendisti politologi, armati delle loro teorie, ideologie, trovate. Filosofi del «lì e dopo» anziché del «qui e ora». Magari si potrebbe pure inventare un megagioco di fantapolitica, un Risiko o un Monopoli con Palazzo Chigi e il Quirinale e Montecitorio e «tu che cosa faresti se fossi premier e capo dello Stato».
Il problema è che, anziché limitarsi a giocare, i nuovi futurologi si prendono tremendamente sul serio e si esercitano senza timore di smentite. Tanto, il futuro non presenta subito il conto. Non viene qui a dirci guarda che hai sbagliato.

Basta solo avere l’accortezza di non dire quando comincia, di non fissare la data d’inizio. Quando il signor B. avrà perso? Quando si sarà ritirato? O quando Gianfry, votato dalle sinistre, avrà conquistato il Quirinale? Chissà. Intanto, il gioco continua e s’inganna il tempo.
Magari pure gli italiani.

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