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L’analisi Dopo l’attacco a Kabul in Afghanistan arrivano i rinforzi Usa

Richard Holbrooke, il diplomatico statunitense che una settimana fa ha sentenziato che «in Afghanistan sarà molto più dura che in Irak», sta in questi giorni viaggiando tra Islamabad e Kabul per fornire a Obama gli elementi per una revisione della politica americana nella regione. Il nuovo presidente ha posto la guerra in Afghanistan in testa alla sua lista di priorità internazionali, ha promesso di inviare fino a 30.000 nuovi soldati per rafforzare l'Isaf e ha già chiesto ai Paesi alleati della Nato di potenziare a loro volta i propri contingenti (Berlusconi si è impegnato a portare il nostro a 2.800 uomini). Tuttavia, egli si è convinto che la soluzione del conflitto non può essere soltanto militare, ma richiede una maggiore collaborazione del governo pakistano nel controllo delle regioni di frontiera da cui partono la maggior parte degli attacchi, uno sforzo per costruire una società civile degna di questo nome e - forse - un ricambio alla guida dell'Afghanistan quando, tra qualche mese, scadrà il secondo mandato del presidente Karzai.
In una audizione al Senato, il nuovo capo dei Servizi di informazione Dennis Blair ha sostenuto che «un governo afghano debole e corrotto si è rivelato incapace di controllare l'avanzata dei Talebani» e che «l'appoggio popolare per gli stessi talebani e per i vari signori della guerra è in continua crescita». Purtroppo, la situazione sta degenerando anche al di là del confine. Proprio ieri il premier Zardari ha sostenuto in un’intervista che i talebani sono ormai presenti in «parti enormi del territorio pakistano» e lasciato intendere che il suo governo non ha la forza per prendere il controllo delle cosiddette aree tribali al confine tra i due Paesi, in cui si nascondono i vertici di Al Qaida. Per colmare questo vuoto, gli americani stanno infatti intensificando gli attacchi aerei sulla regione, anche se i «danni collaterali» che provocano suscitano reazioni sempre più negative nell'opinione pubblica pakistana: l'ultimo è di ieri, e avrebbe eliminato una ventina di quadri degli insorti.
Ci vorrà ancora qualche giorno prima di sapere quali suggerimenti Holbrooke darà al presidente, e un paio di mesi prima che questi sottoponga le sue conclusioni al vertice Nato. L'unica certezza è che, dopo il temerario attacco dei talebani al cuore di Kabul proprio alla vigilia dell'arrivo del plenipotenziario di Obama, un potenziamento dell'Isaf non è più rinviabile e che perciò un primo contingente di due, e forse quattro, brigate americane da combattimento arriverà entro aprile. Sulla sorte di Karzai, sempre più impopolare presso gli stessi afghani dopo sette anni di presidenza, il dibattito è invece appena cominciato. C'è il doppio pericolo di creare un vuoto di potere in un anno in cui si aspetta un’ulteriore intensificazione dell'offensiva talebana e di interferire troppo platealmente negli affari interni del Paese. Bisognerebbe inoltre trovargli un sostituto che possa riscuotere il consenso di tutti i gruppi etnici, e finora nessun personaggio è emerso dal magma della politica afghana.

Comunque, se anche cambierà strategia rispetto a Bush, Obama è altrettanto deciso a mantenere l'Afghanistan, dove fu preparato l'11 settembre, fuori dal controllo degli estremisti islamici.

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