L’analisi Perché Montezemolo e Marchionne hanno sbagliato

La Fiat ha messo in cassa integrazione per 2 settimane ben 30mila addetti dei suoi principali stabilimenti italiani. Non si riscontra una simile decisione della Fiat negli anni più recenti. Per trovarne una simile, bisogna andare indietro nel tempo, all’inizio degli anni 2000, quando la mega cassa integrazione fu presa alla vigilia della eventuale approvazione da parte del governo di allora di un sostanzioso provvedimento di incentivi per la rottamazione, richiesto dalla grande impresa di Torino per rianimare il mercato. Anche questa volta, per una coincidenza che non appare fortuita, le settimane di cassa integrazione vengono adottate nella imminenza della discussione sulla proroga degli incentivi statali alla rottamazione, che adesso sono «eco incentivi», ma servono per sovvenzionare vendite a prezzi vantaggiosi dell’industria automobilistica e di imprese di settori affini. Non consta che in questi giorni ci siano analoghe decisioni di prolungata cassa integrazione di altre imprese fruitrici potenziali di tali sovvenzioni. Si sostiene che questi incentivi, che costano circa due miliardi, servano per sorreggere l’economia. E ciò è certamente vero. Ma sta di fatto che altre misure, ad esempio di esonero fiscale per gli investimenti delle piccole imprese, non vengono presentemente adottate, in quanto ancora non si sa di quanti mezzi finanziari possa disporre il governo, per combinare una gestione del bilancio pubblico non spericolata, con le esigenze di rilancio e quelle di tutela sociale.
Occorre notare che la «cassa integrazione guadagni» per le ore di mancata produzione, non è una assicurazione privata o privatistica, è una gestione pubblica pagata con i contributi sociali di tutta l’economia e non esiste, in genere, negli altri stati. In particolare non esiste negli altri stati in cui opera la Fiat. E quindi se essa altrove ha un difetto di produzione, non può lasciare a casa i lavoratori, con questi sistemi.
Ci vorrebbe un maggior senso di responsabilità , nel fare uso di questo strumento in un periodo in cui lo stato eroga somme aggiuntive per alimentarlo, al di là di quelle che derivano dai contributi sociali. In sostanza, in questo modo la Fiat si fa dare una sovvenzione, con la quale finanzia il ricatto velato che attua, chiudendo le sue fabbriche, in attesa che il governo vari incentivi per l’auto , giustificati con l’interesse nazionale, che vanno a beneficio del suo fatturato.
Questo è un modo inappropriato di confrontarsi con il potere pubblico. I Ministri della attività produttive Gianni Scaiola e del Welfare, Maurizio Sacconi hanno ragione di essere irritati da un comportamento che ha l’aspetto di una pressione nei loro confronti . E Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne che hanno preso questa decisione hanno commesso un errore. Infatti come ha osservato Sacconi, in questo modo hanno interrotto il dialogo con la Fiat del governo e hanno rafforzato, incautamente, le proteste e le agitazioni dei sindacati riguardanti la loro impresa.
La proroga degli eco incentivi ovviamente ci sarà, perché non se ne può fare a meno. Ma non è detto che la bilancia penda di più dalla parte della Fiat e meno da parte delle altre industrie, come nel passato.

In una economia di mercato normale non ci sarebbe la cassa integrazione ordinaria, finanziata dalla mano pubblica anziché dai contributi sociali e non ci sarebbero gli incentivi alla rottamazione delle auto, ma solo gli sconti aziendali e le regole pubbliche anti inquinamento. Ma siamo in emergenza e bisogna che ciascuno faccia la sua parte.

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