Ovviamente non ha senso prendersela, tanto meno sul piano antropologico e culturale, con i multiplex, cioè i grandi complessi periferici che attraggono il pubblico giovane, più incline a vedere i grandi film dazione, i cartoni animati o i cinepanettoni comici. Lasciamolo fare a certi registi di sinistra. Però è un fatto che il nostro cinema dautore, anche di impianto popolare e non elitario, interpretato da attori noti, fatica ad arrivare in quelle «cattedrali nel deserto». Basta dare uno sguardo ai tamburini di questi giorni. In media, sui 10-15 schermi a disposizione di ogni multiplex, i film italiani sono tre: «Generazione 1000 euro», «Sbirri» e «Questione di cuore» (fino a qualche settimana fa «Ex» e «La matassa»). Per gli altri ci sono le sale cittadine, un tempo anche prestigiose, molte delle quali, però, in sofferenza o a un passo dalla chiusura. Sarebbe in atto un vero e proprio trasferimento di pubblico dalle sale urbane alle multisale fuori città, a tutto vantaggio dello spettatore giovane: più pronto, veloce, scafato, sicuro dei propri gusti. Il successo strepitoso di «Gomorra», 10 milioni di euro, viene da lì: lhanno visto anche i ragazzi nei multiplex, prendendolo per un film dazione, non solo chi aveva amato il libro di Saviano. Il discorso vale per «Manuale damore» 1 e 2, «Italians», i comici (Verdone, Boldi, Ficarra & Picone), o certe commedie per teenager, a partire da «Notte prima degli esami» e «Scusa se ti chiamo amore».
Solo che i registi italiani, nel loro complesso, prediligono altre storie e atmosfere, sostanzialmente «adulte», propongono tematiche esistenziali più care al pubblico sopra i trenta. In fondo è «la zona» dove sta quasi tutto il nostro cinema. Allora che fare? «Se non abbiamo i negozi è inutile fare i prodotti», dicono allAnica, la Confindustria del cinema. Insomma, al di là della qualità dei singoli film, che certo conta e alimenta un flusso positivo di commenti, il problema sarebbe di circuito.
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