L’angoscia dei vigili del fuoco abruzzesi: «Scaviamo cercando amici e parenti»

Nel ’97 Umbria e Marche, nel 2002 il Molise, oggi L’Aquila. Tre terremoti devastanti, uno più crudele dell’altro, e l’ultimo è «il peggiore di tutti, non solo per proporzioni e numero di vittime». Nel pronunciare queste parole la voce del vicecomandante dei vigili del fuoco dell’Aquila, Daniele Centi, si rompe. Dopo 35 ore di lavoro ininterrotto tra le macerie, non riesce a trattenere le lacrime. Lui e i suoi colleghi lavorano con la professionalità di sempre, ma dentro nascondono il dolore e l’angoscia di essere essi stessi degli sfollati; di conoscere alcuni dei morti estratti, o i loro parenti. Le loro famiglie ora dormono nelle tende o nelle automobili, impaurite. «Sono stato in Umbria e a San Giuliano di Puglia - ricorda Centi -, ho estratto dalle macerie i corpi dei bambini sepolti. Sono abituato a vedere cose drammatiche, ma ora... ». La sua voce diventa roca: «La mia casa è inagibile, i miei sono da soli. Capiscono il mio lavoro, ma questa volta per me è diverso. Sono coinvolto, ma non devo pensarci.

Ora avremo il supporto dei colleghi di tutta Italia, ma il nostro pensiero va anche alla nostra situazione privata. È un attimo, ma che non ci condiziona, anche se spostare mattoni, travi, rimuovere cornicioni, scavare per salvare una vita sono tutte cose che avvengono in luoghi e con persone che vediamo tutti i giorni».

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