Lì nacque la dinastia dei Bin Laden. Da lì parti il barchino esplosivo che un anno prima dell11 settembre fece a pezzi 16 marinai dellincrociatore americano Uss Cole. Lì si danno appuntamento i sauditi di Al Qaida, liberati da Guantanamo. Lì hanno casa e attendono di tornare metà degli ultimi duecento prigionieri della prigione sullisola di Cuba. Sempre lì, nel febbraio 2006, Al Qaida assalì un carcere per liberare una ventina di militanti e nel settembre 2008 organizzò un sanguinoso attacco allambasciata americana. Da lì predica Anwar Al Awlaki, il profeta del terrore che a novembre ispirò il massacratore di Fort Hood, Texas. Da lì partì il terrorista che a fine agosto cercò di far a pezzi il principe saudita Mohammed bin Nayef usando una mutanda esplosiva identica a quella usata sul volo di Natale per Detroit. Potremmo continuare, ma a buon intenditor poche parole.
Per capire che lo Yemen fosse un luogo pericoloso non ci voleva un Nostradamus del terrorismo. Bastava leggere i giornali. Ed è per questo che il nobile e dignitoso «mea culpa» di Barack Obama non basta. Non basta a chiarire i motivi che hanno portato a sottovalutare la minaccia. Non basta ad assolvere unAmministrazione che conduce la guerra al terrorismo come fosse un nuovo Vietnam, convogliando tutte le risorse su Afghanistan e Pakistan e destinando le briciole al resto del mondo. Come se di conflitto locale e non globale si trattasse. Per capirlo basta guardare le cifre impietosamente esibite dal New York Times. Secondo il quotidiano americano, lAmministrazione Obama - pur consapevole che lo Yemen stava diventando unincubatrice del terrorismo internazionale - ha assegnato a quel Paese per lanno in corso soltanto 63 milioni di dollari daiuti allo sviluppo: una cifra di poco superiore a quella prevista per la Serbia ed irrilevante se paragonata ai 2,7 miliardi di dollari previsti per lAfghanistan; al miliardo e mezzo destinato al Pakistan; ai 500 milioni assegnati allIrak.
LAmministrazione Obama insomma banchetta in Afghanistan e Pakistan, ma riduce il resto della lotta al terrorismo a una festa di matrimonio con i fichi secchi, sul cui tavolo - dopo le apprezzate liturgie pacificatrici recitate al Cairo da Obama resta poco o nulla. A confermare la totale mancanza di una strategia di sviluppo e sostegno capace di conquistare il cuore e la mente della società yemenita con piani daiuto e assistenza economica ci pensano esperti e diplomatici. «Non penso che esista una strategia precisa, credo che nello Yemen ci si limiti a offrire alcune risposte», dichiara al New York Times lex ambasciatore americano a Sanaa Edmund Hull. E al Dipartimento di Stato ammettono: nessuno, fino a oggi, ha ancora elaborato una strategia per fronteggiare la corruzione e lo sottosviluppo del Paese, i fiumi in cui nuotano e si alimentano i pesci del terrorismo. Anche qui la magnitudine degli errori che Obama tenta di nascondere sotto il tappeto del proprio carisma è impressionante. Mentre Richard Holbrooke, linviato speciale della Casa Bianca per Afghanistan e Pakistan, ha a disposizione circa 30 super specialisti messi a disposizione da nove agenzie governative diverse, il Dipartimento di Stato stenta a trovare un pugno di esperti in grado di analizzare la situazione yemenita. E i pochi disponibili non sembrano di grande aiuto. John OBrennan, capo dei consiglieri della sicurezza di Obama ed ex responsabile della stazione Cia in Arabia Saudita, dovrebbe, in teoria, essere uno di questi. Eppure quando sè messo a discutere con i giornalisti il rapporto sulle inefficienze dellantiterrorismo ha ammesso che la parte più inattesa è stata per lui quella sulle capacità e sul livello di preparazione della sezione yemenita di Al Qaida. «Non me lo sarei mai aspettato», ha detto.
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