La sedia sul palco dell'Ariston, Antonio stupisce ancora Margherita e vola. Antonio muore e rivive. Chissà dove e chissà quando. In quel labirinto che rende autentico il dolore e incomunicabile il sentimento. Artefatto e reale. Lo vivi per quello che è, per gli odori che ti rificca nel naso, per lo sguardo perso che incontri e ignori. Per le piccole cose che in quarant'anni dentro ha salvato sul disco fisso. La grafia incerta, la mano che trema, la rosa a sfiorare, asciugare, colmare. In piedi sulla sedia dell'Ariston, spalle al pubblico, la chioma sparata, forse gli occhi chiusi. Le braccia-ali a spiccare il volo.
Ci voleva Simone Cristicchi per tornare a parlare di matti». Ironico e duro il dottor Luigi Ferrannini, direttore del dipartimento salute mentale di Genova, nell'ufficio di Quarto, ex ospedale psichiatrico. Cristicchi s'è preso la vetrina più commerciale e nazional-popolare per raccontare una storia che trasla in video e graffia su un libro. Per agguantare tutti e ricordare qualcosa. «Ben vengano i toni suasivi della canzone se i media stabiliscono un contatto al di là del cancello». I cancelli a Quarto ci sono ancora, arrugginiti e aguzzi. Perimetrano quello che era il manicomio. Adesso c'è solo una sbarra per entrare e uscire. Davanti hai la palazzina con scalinata e colonnato del '30. La seconda tranche del vecchio istituto, la più nuova, quella destinata all'Iit. Vuota.
«Per il dipartimento di salute mentale deve scendere e raggiungere il nucleo storico» ti spiegano. Segui il vialetto, giornata calda. Ci sono due uomini buttati sul prato: «Signora, signora, signora, signora, signora» all'infinito. Tiri dritta. Cosa puoi fare del resto. Ascoltare? Chiedere? Forse hanno bisogno di qualcosa, forse solo di una sigaretta. Cos'è una sigaretta? Un contatto. Una mano allungata. Ferrannini ti sta aspettando. Sei in anticipo. Ma la sigaretta magari gliela dai quando esci. E la canzone di Cristicchi che neanche farlo apposta hai appena ascoltato su Radio Italia. Tutto buttato dentro e shakerato. Bell'inizio. Il Dipartimento è al primo piano della villa con doppia scalinata ai lati. I giardini rigati d'asfalto, i colori spenti si muri, le persiane chiuse, dissestate. Parentesi di letteratura decadente. Ferrannini a Quarto ci arriva negli anni '70, i tempi della svolta. L'ospedale psichiatrico è archeologia. Oggi è tutto diverso. Lui coordina la macchina psichiatrica della provincia e dirige il reparto del Galliera, medico con i pazienti.
Tu ne sai poco di quadri psichiatrici, a lui bastano pochi schizzi per farti scendere dalla normalità. E senza scomodare Freud. «Lo sa che il 25% della popolazione mondiale è soggetta a disturbi di natura psichiatrica?». È un po' come se con una bracciata decisa liberassi un tavolo pieno di ninnoli, a terra in frantumi. «Lo spettro è, naturalmente, ampio, dentro ci finiscono i disturbi di ansia, umore, personalità e psicotici. A cui va ad aggiungersi la visione integrata tra sofferenza mentale e malattia somatica (depressioni post infarto ad esempio). L'operazione dei media è duplice: o la negazione (tutto questo non mi appartiene) o il collegamento alle grandi patologie (schizofrenia, delirio, paranoia)». Ferrannini schematizza per farti capire. Fasce d'età e gruppi a rischio? «Prima e seconda infanzia con autismo, dislessia, ipercinesi; pre adolescenza e adolescenza anticipata cui sono legati i problemi dell'umore, controllo degli impulsi, bullismo, schizofrenia, picchi di autolesionismo, non sono un caso i ripetuti incidenti in motorino. In età adulta i problemi connessi alla pre e post gravidanza, tema della genitorialità e terza età (depressione sintomatica dell'ottantenne)». «Questa è oggi la malattia mentale». Che ieri veniva assommata e gettata in manicomio. Quarto cresce su quattro passaggi interni. Il nucleo storico apre nel 1898, mentre il nuovo istituto diventa operativo nel '33. Poi la costruzione nel 1960 della palazzina destinata ai servizi dell'ASL e nel '74 l'apertura dell'ultimo padiglione che oggi ospita il Montale «Centocinquanta pazienti per ogni piano, stipati, a morir dal caldo. Lo abbiamo chiuso nel '79». Ti dice che la realtà-manicomio entra in crisi nell'immediato dopo guerra, una crisi esponenziale che si acutizza nei due decenni successivi. Basta un dato: «Negli anni '60 gli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto insieme ospitavano 8000 persone. Un peso economico e politico non indifferente». Poi arriva la 180, «approvata due giorni dopo l'omicidio Moro», e il superamento dei manicomi «con una rete di servizi di cui siamo stati anticipatori, tant'è che nel giro di 20 anni l'OMS l'ha assunta come modello».
Rete che individua reparti di psichiatria negli ospedali generali; centri di salute mentale, aperti 12 ore al giorno, dove equipe multi professionali prendono in carico i pazienti di quel territorio con qualunque tipo di patologia; centri diurni semiresidenziali e comunità terapeutiche residenziali. In numeri: «15.000 persone in trattamento nell'area di Genova, 4500 ricoveri all'anno nei reparti psichiatrici acuti, 500 posti letto residenziali e 700 operatori di varia professionalità nel circuito». Dei pazienti di allora? «Quasi tutti morti». L'Antonio di Cristicchi scriveva, tanti pazienti scrivevano lettere mai spedite: «Abbiamo un patrimonio archivistico oggetto di fior di ricerche e pacchi di lettere allegati a cartelle cliniche che in un anno magari portavano dieci annotazioni mediche in tutto, era il sistema». Ferrannini mette dentro l'apparato a latere, il supporto alla rete dato dalle famiglie riunite nell'Alfap, organizzate in consulte e partecipi degli organismi di programmazione». Sono cresciuti anche i gruppi di autoaiuto e i percorsi di inserimento lavorativo in collaborazione con Comune e Provincia. Poi c'è tutta l'attività sportiva, «Matti per la vela l'abbiamo inventata noi». Una polverizzazione per gestire dignitosamente la cronicità e curare il resto. La chiusura del residuo manicomiale di Quarto è del 31 maggio 1999.
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