di Ferruccio Repetti
«Noi che abbiamo accolto un giovanissimo don Nevio, profugo da Lussimpiccolo, come un fratello, con grande amicizia e affetto»: sono quei «noi» - professionisti, dirigenti dazienda e magistrati, alcuni genovesi, altri da tempo emigrati, ma tutti solidali nel rispettare lappuntamento annuale - che ieri si sono ritrovati in Albaro, alla Bottega del Re, per il rituale pranzo di saluto al «loro» sacerdote. Don Nevio Martinoli, appunto, già parroco - per qualche lustro... - di Santa Teresa del Bambin Gesù. Che non era, allora, la chiesa comè adesso. Lo hanno ricordato, i «ragazzi» di don Nevio, appena prima di gustarsi le leccornie di Pino Re (tanto per dire: pasta e fagioli, mezzemaniche con calamaretti e zucchine, pesce in foglia di patate, stoccafisso allo sciabecco, tagliata di manzo, torta di mele o di ricotta, e creme brulé al cioccolato bianco, ovviamente a scelta!).
A quel tempo, il loro tempo, al posto della chiesa cera un campo di calcio, si fa per dire: «Noi che giocavamo a pallone sul Montone, un tempo in salita e laltro in discesa». Appunto. Ma don Nevio e i suoi ragazzi non se ne facevano un problema, abituati comerano a ben altre ambasce: la guerra, le bombe, gli affetti spezzati. Ancora: «Noi che - legge gli appunti Moscatelli, e gli altri annuiscono, sospirano, provano a nascondere i lucciconi - noi che dopo il 25 Aprile abbiamo visto entrare in azione la signora Italia». Qualche sospiro, poi torna il sorriso: «Noi che andavamo ai Bagni Perasso ed eravamo in venti in una cabina.
Sì, anche questanno, come allora: «Noi, che siamo quelli che guardiamo sempre avanti, ma ricordando».
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