L’Argentina con i suoi nanetti all’assalto del muro tedesco

I piccoletti Saviola, Tevez e Messi dovranno vedersela con i giganti Metzelder e Mertesacker

Riccardo Signori

nostro inviato a Berlino

Stasera a Berlino sorgerà un nuovo muro: meno grigio e più umano. Si chiama Metzelder-Mertesacker: due colonne da quasi due metri l’una. Saranno l’ultimo avamposto della Panzerdivision prima di lasciar via libera ai gauchos-nanetti, tutta gente da poco più d’un metro e sessanta: ovvero Saviola, Tevez e Messi, come al solito distillati durante la partita. Germania e Argentina se la giocheranno così: di mezzo un’infinita storia di football. Intorno, sulle tribune dell’Olympiastadion, la marea montante del tifo tedesco. Oramai chi li tiene più. Gli audience televisivi vanno di pari passo con le speranze, la faccia di Klinsmann si è fatta meno pallida, le voglie sono sempre le stesse, quelle che i panzeroni ripetono da un anno a questa parte: «Vogliamo arrivare fino in fondo». Non li spaventano i gol, figuriamoci le chiacchiere o altro. Javier Saviola, nanetto (m. 1,68) destinato a giocar subito e pronto ad infilarsi fra le gambe dei due gigantoni, ieri ha stuzzicato l’autostima tedesca andando a dire: «I favoriti siamo noi, abbiamo il 60 per cento di possibilità di vincere». E Ballack gli ha subito restituito la cortesia. «Cosa dici? Le percentuali vanno esattamente rovesciate. Non ci nascondiamo davanti a nessuno. Siamo realisti e, dopo quello che abbiamo dimostrato finora, non temiamo nessuno».
E cosa vuoi temere con quei due stangoni là dietro? Anche se Costarica ha dimostrato che si può. Quel giorno «Metz & Mert» ci lasciarono la faccia. Dopo la partita si guardarono in faccia e si dissero: «Come la mettiamo? Troviamo una soluzione o andiamo allo sbando». Da allora la Panzerdivision non ha più subito gol. Ora dicono di essere una cosa sola, sono il muro in cui tutta la Germania crede, hanno rinnovato la stirpe degli stangoni difensivi tedeschi: Jürgen Kohler, Forster, Schwarzenbeck, per arrivare fino a Schnellinger. Nel 1993 erano bambinelli lontani mille miglia dal diventare calciatori di professione. A 11 anni Mertesacker, il rosso, ha iniziato a giocare nell’Hannover. Ancora tre anni fa, stava pensando al servizio militare. Metzelder fu, invece, la rivelazione tedesca nell’altro mondiale, ma poi ha cominciato a lottare con il tempo e con i dottori: una rottura del tendine d’Achille lo ha tenuto fermo 630 giorni, quasi due anni. Operato due volte, forse perduto per il calcio, ha lottato per farcela. Nel 2004 è tornato, però nel Borussia Dortmund il titolare era un altro. In questo mondiale è lo stopper che ha vinto l’80 per cento dei duelli. Unico problema: presi in velocità i due sono un muro, certo, ma virtuale. Si aprono come le porte di un saloon.
L’Argentina ha pistoleri sfacciati. Proverà a far sbattere le porte del saloon dirottando i suoi siluri. Lionel Messi non vede l’ora di entrare in campo. Carlito Tevez ha promesso faville. «Basta che Pekerman mi faccia giocare: per me, novanta minuti o uno soltanto fa lo stesso». Alla fine partirà titolare Crespo, l’uomo per tutte le stagioni. Il centrocampo sarà retto ancora da Riquelme, Cambiasso dovrebbe stare in panchina per lasciar posto a Lucho Gonzalez. Per i fuochi d’artificio il ct preferisce attendere il gran finale. Le ultime due volte sono stati pareggi (2-2 nel 2005). «Ma allora avevamo birra solo per 70 minuti, ora ne abbiamo per 120», parola di Klinsmann che ha lavorato molto sulla preparazione fisica, ha imposto un allenatore americano. In Germania non l’hanno digerita. Ma ora Klinsi ha vinto la sua battaglia e l’idea sta portando risultati.
In tribuna ci sarà Maradona: i tedeschi cominciano a temerlo anche lassù. Diego per gli argentini è una sorta di amuleto, per gli altri un dodicesimo giocatore ingombrante. L’altro giorno è morto Bruno, quell’orso italiano che i tedeschi avevano eletto a mascotte della nazionale. L’orso è anche l’emblema di Berlino, qualcuno ci ha visto segni nefasti.

Un popolare conduttore televisivo ha tirato la conclusione. «Maradona vive, Bruno è morto. Gli argentini sanno bene quanto conti salvaguardare gli amuleti». Alla faccia di Klose e Podolski, del muro di Berlino e dei nani di Pekerman.

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