L’aria è cambiata

Chi fa sondaggi li chiama «winner sentiment» e «intention to buy», chi fa politica sul marciapiede molto più prosaicamente traduce la faccenda con un semplice e chiaro «l’aria è cambiata».
Nel centrosinistra nessuno avrebbe scommesso un euro sulla possibilità di arrivare al duello decisivo tra Berlusconi e Prodi con il primo all’attacco e il secondo in difesa. Ma le vie della politica sono infinite e così i due fattori decisivi per capire dove tira il vento sembrano essersi rovesciati, tanto che il Cavaliere non è più solitario ma galoppa verso il 9 aprile con An, Udc e Lega.
Winner sentiment. Quanti sono disposti oggi a mettere la mano sul fuoco su chi vincerà le elezioni? Pochi. Eppure fino a una decina di giorni fa la strategia del centrodestra sembrava destinata a perdere, l’idea delle tre punte un bislacco modo di tirare avanti in una campagna elettorale in cui sembrava credere soltanto Berlusconi. All’avvicinarsi della scadenza però il dibattito politico si è fatto più serrato, le granitiche certezze dell’Unione si sono sgretolate una a una e le parti in commedia rovesciate. Prima abbiamo visto una Casa delle Libertà che non correva unita verso un’unica meta, abbiamo notato Casini e Fini punzecchiare Berlusconi, quindi la sceneggiatura del film ha voltato pagina: basta con le folate solitarie, si marcia con la strategia della falange romana.
I politici più intelligenti del centrosinistra - Massimo D’Alema su tutti - non hanno mai nascosto la loro ammirazione per la capacità di Berlusconi di combattere, quando però hanno visto Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini seguirne le orme e usare a tratti lo stesso linguaggio (il leader dell’Udc ha rispolverato il «comunismo» e dipinto Prodi come il «nemico del ceto medio», mentre Fini lo ha apostrofato come Pinocchio, «le bugie hanno la faccia di Prodi») la faccenda nell’Unione si è fatta maledettamente seria. La sinistra ha contato fino all’ultimo sulle divisioni interne della Cdl per conquistare Palazzo Chigi. L’Italia però è un Paese con il dna moderato, una maggioranza da sempre silenziosa che si mobilita solo all’ultimo momento. E questo pure Fini e Casini lo sanno. Nel blocco sociale del centrodestra infatti abbondano i «votanti passivi», cioè quei cittadini che vanno in cabina elettorale solo per le elezioni politiche e non considerano le altre consultazioni. Alle ultime regionali del 2005 la sinistra ha vinto per 52% a 44% ma grazie a un’astensione più alta del 10% rispetto alle politiche 2001. L’Istituto Cattaneo tempo fa ha studiato l’orientamento dei votanti passivi: solo il 28,8% è di centrosinistra, oltre il 70% è dunque di centrodestra.
Ecco perché Berlusconi punta a motivare l’elettorato e confida in una percentuale di votanti al di sopra dell’80%. Sono le stesse ragioni che hanno mosso Fini a invitare gli elettori ad andare alle urne e parlare di campagna elettorale al fotofinish e spronato Casini a chiamare alla mobilitazione «il ceto medio contro il suo nemico Prodi». E il centrosinistra rischia di arrivare spompato all’ultimo miglio, al punto che ieri Romano Prodi, il maratoneta che si considerava imbattibile, si è fatto scappare la frase-gaffe sul «pareggio». È solo l’ultimo degli scivoloni dialettici del candidato premier del centrosinistra, ma è sintomatico al punto che qualcuno sogna di spedirlo in pensione anticipata al Quirinale.
Intention to buy. Comprereste una casa con Prodi al governo? A questa domanda oggi in molti risponderebbero di no e in moltissimi infatti stanno facendo la fila dal notaio per evitare una tassa di successione annunciata, ritrattata, riannunciata, smentita, ritirata e riannunciata solo per i grandi patrimoni. La sinistra è rimasta con il piede incastrato nella tagliola delle tasse. Una tagliola che Prodi aveva piazzato sul percorso della campagna elettorale mascherandola con i bofonchiamenti sulla «serietà» e la «grave situazione» e il leit motiv del «sono molto preoccupato». Ad esser preoccupati sono i piccoli risparmiatori che investono in titoli di Stato e quel non trascurabile 82% degli italiani che ha una casa e non vuol vederla supertassata in vita e tartassata in punto di morte. Preoccupatissimi sono i piccoli e medi imprenditori, i costruttori (ai quali Prodi ha suggerito il suicidio), i commercianti, gli autonomi, il popolo delle partite Iva che è la spina dorsale di questo Paese e il bacino elettorale del centrodestra. La questione fiscale in Occidente ha fatto cadere monarchie ben più salde dell’impero prodiano, ma questo a sinistra è stato ignorato fino all’altro ieri.
Solo il 10 aprile, quando si apriranno le urne, sarà possibile capire quanto questo sentimento si sia tramutato in voti. Ciò che è chiaro agli occhi del cronista è il senso di disagio diffuso verso una coalizione che vede la ricchezza come una colpa, la proprietà come un peccato originale, gli imprenditori come una torma di evasori, lo Stato come un Leviatano che tutto decide, tutto dispone, tutto controlla.
È dallo «scatto di Vicenza» che la campagna elettorale ha cambiato prospettiva. Quando Berlusconi si è rivolto agli imprenditori dicendo «voglio parlarvi con il cuore», gran parte dei cittadini ha compreso da che parte stava il regime. È stato proprio il Sole 24 Ore il termometro migliore per misurare la temperatura di questo finale di partita. Quando in viale dell’Astronomia si sono accorti che la base imprenditoriale era in rivolta, che lo strampalato teorema della claque del Cavaliere non stava in piedi, che il mondo non si ferma a Macerata e l’Italia che produce e crea lavoro non è solo una questione di tomaia, allora il quotidiano di Confindustria si è risvegliato e ha offerto (con colpevole ritardo) una visione del Paese leggermente diversa: meno letteratura del declino e più fatti su un Paese ricco che può ripartire e ha tutti i numeri per farlo, meno tesi cigielline sul precariato e più flessibilità, meno catastrofismo e più titoli d’apertura sul record assoluto della Borsa di Milano e sull’importanza della casa per gli italiani. Contemporaneamente, sui quotidiani della sinistra che ogni tanto hanno degli sprazzi di lucidità (e paradossalmente stiamo parlando di Repubblica e del Riformista) sono comparse alcune interessanti analisi sulla «fiscofobia» dell’Unione, sull’autogol di Prodi sulle tasse e sulla necessità di «ammettere l’errore» e finirla con «l’ambaradan».

Tempo scaduto: per l’Unione di Prodi ormai è troppo tardi staccarsi di dosso l’etichetta di essere quello che è, il partito delle tasse e dello statalismo applicato a ogni dimensione dell’esistenza, mentre per il centrodestra ora non è più troppo tardi per vincere.

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