di Ferruccio Repetti
La versione «sinistra», ribadita ieri dal sindacato Fiom Cgil e dal presidente della Regione Claudio Burlando, è questa: Fincantieri vuole ridimensionare i programmi, riconvertire la produzione e chiudere due stabilimenti su tre in Liguria, mandando a spasso centinaia di lavoratori. Così, come se fosse un capriccio dellamministratore delegato Giuseppe Bono che non ha di meglio da fare che spassarsela con i licenziamenti, invece di far crescere fatturato e utili. La verità è un po diversa, un bel po diversa. Proviamo a spiegarla senza luoghi comuni e ruffianerie di sorta. Loggetto è: la costruzione di navi (sempre più belle, sempre più sofisticate, sempre più costose). Lo scenario: il mercato globale (che è libero da sovrastrutture e pregiudizi ideologici). Il fatto incontestabile: il crollo delle commesse (tanto più accentuato in Italia, cui lEuropa «a 27 stelle» non consente aiutini di Stato, consentiti invece alla concorrenza. Perché?). Conseguenza logica: la revisione del piano industriale per adattarlo alle nuove esigenze produttive. Fincantieri - il nostro maggiore operatore del settore, leader nella costruzione di «regine del mare», otto stabilimenti in Italia di cui tre in Liguria - cerca di elaborare una nuova strategia. Che prevede, in particolare, il ridimensionamento della produzione che, al momento «non tira».
Corrono le indiscrezioni, su un piano industriale che però devessere presentato lunedì e discusso nei dettagli, ma prevederebbe la chiusura del cantiere di Sestri Ponente per tre anni (anche per completare le operazioni di «ribaltamento a mare»), e la graduale soppressione delle attività a Riva Trigoso. Tantè, qualcuno sa già tutto e di più, ed esplode la polemica. Cioè il festival dellaria fritta e delle frasi fatte, tipo: «Noi stiamo dalla parte dei lavoratori», parola di Fiom (a proposito: fosse mai che qualcuno dicesse «Io sto dalla parte di chi il lavoro non ce lha»). Ovvero: «Questo piano è inaccettabile» (parola di Burlando). «Ritengo inaccettabile il piano di Fincantieri» copia e incolla il sindaco Marta Vincenzi, che almeno qui va daccordo col suo nemico storico. Ancora, stracciando Beppe Grillo in fatto di populismo e demagogia: «Esprimo totale solidarietà ai lavoratori che manifestano in città». Torna Burlando e annuncia: «Il Tesoro e la Cassa depositi prestiti sono daccordo per creare condizioni finanziarie uguali agli altri Paesi europei per gli armatori che vogliono costruire navi in Italia». Si inseriscono Giacomo Conti (Federazione della sinistra), Sinistra ecologia e libertà, lonorevole Mario Tullo (Pd), Rifondazione comunista, il consigliere regionale del Pd Ezio Chiesa, la deputata dellUdc Gabriella Mondello, il presidente dellAutorità portuale Luigi Merlo: «Siamo a fianco dei lavoratori, ecc.». Ipotesi concrete di soluzione? Boh!? A far scendere gli irriducibili dal pero, ci pensa quel birichino di Giovanni Alberto Berneschi, presidente e padre-padrone di Banca Carige, che parla come il bambino innocente di fronte al re nudo: «Il problema della cantieristica italiana - spiega Berneschi - è la mancanza di ordini, non il piano industriale di Fincantieri». Roba da 99 minuti di applausi, come per la fantozziana «boiata pazzesca» sul film Corazzata Potemkin. Solo che, invece di ascoltare, in tanti preferiscono tirare il super-banchiere de noantri per la giacca, chiedendogli di scucire soldi per la cantieristica. Come se il problema si risolvesse così: «Mettiamo mano al portafoglio (quello degli altri), paghiamo gli stipendi, freghiamocene del lavoro che non cè. E vedrete che le commesse ripartiranno». Roba da premio Nobel.
Inutile che Bono e compagnia si sforzino di dire: «In attesa della ripresa del mercato delle costruzioni, occupiamoci di altri lavori, le riparazioni navali ad esempio. Che sono un comparto in salute che ha bisogno di spazi.
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