L’arte antica vende più della contemporanea

da Maastricht

Erano gli anni in cui un giovane albino chiamato Andy, sbarcato da Pittsburgh nella Grande Mela e in procinto di diventare il padre della pop art, si arrabattava (egregiamente) come illustratore pubblicitario e disegnatore di moda per riviste come Harper’s Bazaar, Glamour, Mademoiselle e New Yorker. Oggi una cinquantina di esemplari inediti di quei disegni sono in vendita nello stand della galleria Daniela Blau di Monaco alla fiera d’arte Tefaf di Maastricht, la più prestigiosa enclave del collezionismo mondiale. Venti sono già stati acquistati all’apertura della fiera con cifre tra 20 e 100mila euro l’una.
Le illustrazioni del giovane Warhol, colorate e suadenti com’era già nel suo stile, sono una delle chicche di una manifestazione cominciata 25 anni fa nella romantica città olandese come esclusivo mercato d’arte fiamminga, e che oggi raduna la crema delle gallerie d’arte antica e moderna del mondo. Solo 260 mercanti, tra cui 14 italiani, superano il vaglio del severissimo vetting che ammette unicamente opere di altissima qualità e di certificata origine e provenienza. Quest’anno, a esempio, la galleria Colnaghi di Londra espone una magnifica Crocifissione di Rubens del valore di 3,5 milioni di euro che probabilmente andrà all’emissario di uno dei tanti musei internazionali (Louvre in testa) che qui vengono a fare la «spesa». A Maastricht resta integro, e anzi si rafforza, il mercato alto dell’arte antica con pittura, scultura e arredi antichi; mentre la rappresentanza di arte contemporanea, che ha fatto la sua comparsa al Tefaf pochi anni fa e che annovera i più grandi mercanti come Malborough e Sperone, preferisce allestire i propri stand con rassicuranti opere di moderno-storicizzato, lasciando nei magazzini le star del millennio come Damien Hirst o Jeff Koons. La galleria Landau Fine Art di Montreal propone la scultura Curved, un pezzo unico di marmo di Henry Moore mai apparso prima sul mercato. Cifra richiesta: 35 milioni. La differenza fra il prezzo e il valore reale di un’opera è l’unico fattore opinabile in una fiera in cui gli ispettori della commissione continuano le loro verifiche anche durante i giorni di apertura, pronti a ritirare un dipinto dagli stand al primo dubbio o a sostituire una blasonata didascalia con la dicitura: «attribuito a». E allora un altro effetto della crisi (si fa per dire) è la proposta di opere già esposte al Tefaf o rimaste invendute in qualche grande asta. Stridono agli occhi del pubblico raffronti improbabili come il grande dipinto Primavera sulle Alpi di Giovanni Segantini, in vendita allo stand di French & Company di New York a 25 milioni, mentre una rarissima Odalisca dipinta dal settecentesco maestro svizzero Henry Fuseli viene proposta nello stand di Richard Feigen a «soli» 370mila euro.
Altro effetto della crisi: diminuiscono i compratori americani che hanno sempre rappresentato oltre il 30 per cento del mercato di Tefaf ma, in compenso, cresce l’onda dei collezionisti cinesi che, stanchi delle abbuffate di contemporanei status symbol, sono diventati leader anche del mercato dell’antiquariato e vanno a caccia di arte Ming da riportare in patria: come il grande vaso in bronzo Shengding della dinastia Zhou in vendita allo stand di Gisele Croes di Bruxelles a 3 milioni.

E gli italiani? «I collezionisti restano a casa - mormora un noto mercante romano - in compenso vengono i nostri finanzieri in borghese a fotografarci gli stand. Chissà che cosa pensano di trovare, come se la mafia investisse solo in opere d’arte...».

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