Confesso che, arrivato a 55 anni, avendo scritto molti libri e scoperto molti quadri, avendo trasmesso a molti la passione per l'Arte, non mi aspettavo lezioni sulla pittura dal piccolo editore Giancarlo Politi e dal sindaco Letizia Moratti. La seconda mi ha spiegato, senza averla vista, che la mostra Arte e omosessualità è brutta e che «Milano non merita provocazioni sterili che confondono e contrabbandano per arte quello che arte non è». Inutile esporre Beardsley, qualche decina di disegni inediti di De Pisis, quadri insoliti e sorprendenti di Leonor Fini, Guglielmo Ianni, Giovanni Testori, Willy Varlin, Sylvano Bussotti e una vera rivelazione, commovente e intensa, come Brancaleone da Romana! No, non inutile. Alla fine ci siamo spiegati, e la Moratti verrà a vedere i quadri, cercando di non farsi infastidire dalle (provocatorie) fotografie.
Politi, invece, la mostra, quell'altra, Arte Italiana 1968-2007 Pittura, l'ha vista e, compiaciuto della superiorità della sua ignoranza, esorta a vederla: «La dovrebbero vedere i semplici curiosi, cioè coloro che non conoscono nulla di arte e di pittura, ed in questo caso si divertirebbero per le sguaiate opere esposte e per gli aneddoti visivi che potranno leggervi, un vero divertentissimo bestiario della figurazione di ieri e di oggi». Politi, sia pure a denti stretti, ammette di aver imparato qualcosa. E si limita a criticare l'allestimento «caotico, superaffollato e affastellato» con opere ovunque e «didascalie inesistenti, didascalie sbagliate e didascalie corrette a mano». Dimentica di aver visto la mostra in cantiere, e quindi manifesta un ingiustificato malumore. Poi, però, comincia a prendersela con gli artisti, con un'arroganza non degna di chi dovrebbe constatare ciò che è accaduto, almeno nella pittura, e non sentenziare su ciò che è buono e su ciò che è cattivo: «Un agghiacciante saloon della brutta, bruttissima pittura e del dilettantismo culturale più sguaiato. E di un salone di artisti rifiutati proprio si tratta, perché mai, dico mai, nella mia lunga vita di frequentatore d'arte in tutto il mondo, ho visto una mostra così raffazzonata, raccattata, sbrindellata».
Per sua sfortuna, io ho avuto, invitato da lui, quando mi corteggiava per avere favori, scrivendomi e intrattenendomi a cena, occasione di vedere le sue mostre a Trevi, patetico e umiliante mercatino d'artisti, come le disertate biennali di Praga alle quali Politi, con il suo occhio lungamente esercitato, poteva anche invitare gli artisti inventati da Oliviero Toscani. Perché quelli veri non li riconosce e li chiama «rifiutati». Peccato che, nella mostra di Milano, si chiamino Domenico Gnoli, Fabrizio Clerici, Leonardo Cremonini, Karl Plattner, Gianfranco Ferroni, Carlo Guarienti, Piero Guccione, Aldo Mondino, Valerio Adami, Wainer Vaccari, Carlo Maria Mariani, Gino De Dominicis, tutti con opere bellissime e importanti, ma anche Ferenc Pinter, Benito Iacovitti, Guido Crepax, Carlo Maria Mariani, Margherita Manzelli, Lino Frongia. Rifiutati da chi? Ignorando e disprezzando gli artisti, Politi scrive: «Questa mostra è semplicemente l'espressione dell'arroganza, dell'ignoranza, della disinformazione più totale sulla pittura ma anche del vuoto mentale». Perché questo giudizio, insieme così severo e cosi isterico? Perché non ho rispettato le gerarchie, perché non ho accettato la prevedibile rappresentazione dei soliti artisti, e ho cercato di testimoniare anche i meno frequentati, i non garantiti.
Così Politi conclude: «Come avrete capito, io non ho alcuna stima di Vittorio Sgarbi come critico d'arte e curatore di mostre (e nemmeno come uomo). Lo considero un nemico giurato dell'arte e della cultura, le sue iniziative sono pessime, il danaro pubblico nelle sue mani è, a mio avviso, gettato al vento». Sarà. Ma vadano «i semplici curiosi» a vedere, in Palazzo Reale a Milano, la mostra di Ivan Theimer, l'allestimento rivoluzionario del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, la superba serie di dipinti di Mario Cavaglieri e, dopo tanti anni, si accorgeranno che vedere opere d'arte può essere ancora un piacere, non una tortura o una sofferenza per tentare di interpretare frustrazioni e nevrosi di un curatore, magari piccolo e nero, come si deve sentire Giancarlo Politi, con un insuperato complesso di inferiorità.
Per capire il suo pregiudizio contro i pittori e anche contro un allestimento inevitabilmente difficile, basta leggere il resoconto di un giornalista sereno anche rispetto al mercato, Paolo Manazza, che ha scritto sul Corriere economia: «La mostra kolossal, ideata da Vittorio Sgarbi, è in corso presso il milanese Palazzo Reale. Il parto è stato difficile, se è vero che il catalogo è stato ristampato negli ultimi giorni. Decisamente Sgarbi ha poca attitudine agli aspetti organizzativi e ai bilanci. Mentre sul fronte ideativo e curatoriale ha coraggio da vendere. Nonostante i continui cambiamenti, i ripensamenti e le cancellazioni della lista infinita dei pittori italiani dal 68 a oggi, questa rassegna ha un allestimento raffinato. E fornisce un panorama eclettico ma interessante degli ultimi quarant'anni. L'elenco degli artisti è lunghissimo (217). Unisce nomi di chiara fama ad altri scavalcati velocemente dal mercato. Tra tutti è interessante notare la presenza di pittori che hanno fatto segnare ottime performance nella crescita dei valori». Ne cita molti con le quotazioni e li rispetta.
Invece Politi non rispetta neanche i morti: con un cattivo gusto senza precedenti, fingendo di ignorare che Maurizio Sciaccaluga ha condiviso fino in fondo le scelte della mostra, ed è morto quando essa era ormai chiusa (basti osservare le date: il critico muore il 27 giugno, la mostra apre ai giornalisti il 10 luglio). Politi scrive: «Avrei voluto vedere se il povero Maurizio Sciaccaluga, colpito da un malore mortale dieci giorni orsono (e non escludo una responsabilità diretta dello stress di questa mostra per le scelte sofferte da lui invano osteggiate) avrebbe firmato, come invece è proditoriamente accaduto, questa rassegna ormai di altri». Ineffabile Politi. Insulta e usa Sciaccaluga, che ha lavorato con me, con passione e convinzione, fino all'ultimo giorno. L'odio lo acceca, e lo fa giocare con la memoria dei morti di cui abbiamo rispettato, con infinita pietà, la volontà di combattere contro i falsari e i millantatori, in nome della pittura, gridando «anche dall'aldilà». Egli aveva voluto questa mostra, l´aveva seguita, aveva invitato gli artisti e la sua posizione è ben rappresentata dal saggio in catalogo, a smentita delle insinuazioni e delle volgarità di Politi che meriterebbe di essere sfidato a duello.
Sciaccaluga lo disprezzava. Io non gli avrei risposto, questa volta, come ai modestissimi suoi replicanti, Bonito Oliva e Cycelin, se non per difendere il coraggio e l'onore di Maurizio Sciaccaluga. Vengano Politi e i suoi lettori senza storia e senza memoria che gli inviano messaggi di solidarietà con l'orgoglio e l'arroganza della comune ignoranza (Mariella Bettineschi, Marta Casati, Silvio Orlando, Norma Mangione, Lino Agrò, che ride - beato lui - dall'alto della sua autorità, dei «fumettari») a Francavilla al Mare a vedere il Premio Michetti, curato da Maurizio Sciaccaluga, in perfetta coerenza con la mostra di Milano. Non usino la morte, non si riparino dietro Sciaccaluga, che, diversamente da loro, amava gli artisti e li cercava, senza irriderli in nome di una presunta superiorità.
Vittorio Sgarbi
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