L’arte ritrovata al suo meglio

Oltre 11mila reperti archeologici trafugati recuperati, solo nell’ultimo biennio, dalla Guardia di Finanza, prima che imboccassero definitivamente le nuove rotte del commercio clandestino: Stati Uniti, Giappone ed Emirati Arabi. A testimonianza del lavoro del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza, la mostra «Dal Sepolcro al Museo. Storie di saccheggi e recuperi» espone al Complesso del Vittoriano una selezione dei recuperi degli ultimi 50 anni, tutti datati tra il VII secolo a.C. e il II d.C.
Aperta fino al 12 settembre, la mostra inaugura la Gipsoteca del Vittoriano - che riapre così al pubblico dopo un anno di lavori - e rende omaggio tanto al lavoro della Guardia di Finanza quanto ai reperti recuperati, in gran parte destinati ai magazzini delle caserme, dei musei o ai depositi giudiziari. Eppure le loro storie incredibili meritano di essere raccontate perché, accanto ai manufatti di piccole dimensioni come anfore, coppette e statuine, i tombaroli e i loro facoltosi clienti non disdegnano are marmoree funerarie e sarcofagi con tanto di sepolture e corredi funebri. Come nel caso del Sarcofago delle Muse, proveniente dall’area archeologica di Isola Sacra e trafugato per essere venduto su commissione a un commerciante svizzero. A proposito di sarcofagi, in mostra c’è anche quello etrusco recuperato nel 1962, mentre si preparava a raggiungere la destinazione finale: l’italiana casa Meneghini, il marito della Callas.
Ora, se si calcola che un pezzo come l’altare funerario del II secolo a.C., esposto in mostra, sul mercato nero vale circa un milione di euro, è facile quantificare il valore degli oltre 11mila ritrovamenti effettuati; ma se è vero che il danno economico viene in parte arginato dall’attività della Guardia di Finanza, è altrettanto vero che ormai quest’altare ci dirà ben poco: rinvenuto nel suo contesto originale avrebbe forse potuto svelare il perché dell’assenza di iscrizioni, nonostante contenesse quattro urne funerarie; ritrovato così, invece, è destinato a rimanere avvolto nel mistero. Purtroppo, le pene previste per lo scavo clandestino sono equiparate a quelle del furto semplice, sebbene si tratti di «un delitto tra i peggiori», secondo il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Maria Giro, «perché trafugare opere d’arte significa imprimere una ferita profonda nella nostra storia.

Un Paese come il nostro deve porre fra le sue scelte politiche la difesa della propria identità e della memoria storica, come fa questa mostra proustiana che va alla ricerca del tempo perduto; ricerca difficile resa possibile dal lavoro straordinario della Guardia di Finanza».

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