La storia dell’arte è storia degli oggetti e storia delle idee. Si differenzia in questo dalla storia della letteratura e dalla storia della musica che, pur coinvolgendo i sensi e stimolando le passioni, non si stabiliscono in una forma fisica autonoma e restano legate al solo mondo delle idee. La storia dell’arte invece riguarda i prodotti dell’uomo, oggetti che acquistano un’autonoma esistenza. È difficile sottrarsi a un senso di sgomento vedendo quante perfezioni ancora sopravvivono intatte, forti e quasi respiranti, di uomini ormai scomparsi e ridotti in polvere.
Resta limpidissimo il colore su una tavola di Giovanni Bellini o su una tela di Giorgione, e non finisce di stupirci, ma è una «cosa» che ha una realtà fisica indipendente dal suo autore. Fisica, dico, non solamente intellettuale. Così è sempre necessario ricordare che prima di ogni teoria o sistemazione di idee noi dobbiamo fare i conti con una quasi sconfinata quantità di materiali che prevedono conoscenza e impegnano in classificazioni che soltanto l’esperienza e non la parola possono dare. Per questo non c’è niente di più inadeguato e ambiguo di un libro di storia dell’arte, che fornisce informazioni, ma non può surrogare l’esperienza diretta delle cose.
La storia dell’arte è tanto più fredda sui libri, quanto più calda e partecipata sulle cose: chiede di muoversi, di vedere, di toccare. Eppure manuali e storie sopravvivono, giacché, se anche riconosciamo che nessun libro ci fornisce strumenti e metodi sicuri, tutto quello che ci circonda, anche esterno al campo dell’arte, accresce la nostra esperienza della realtà.
Anche in una civiltà eminentemente visiva com’è diventata la nostra, le opere d’arte restano circondate da un’aura quasi impenetrabile d’insidioso mutismo; e per loro, ben più che per la letteratura e l’ineffabile musica, sembrano necessarie le parole. Di qui la fortuna di biografie, interpretazioni critiche, saggi, nell’esigenza di chiarire intenzioni, scoprire misteri, riconoscere autori.
Nel suo mutismo, la storia dell’arte pone problemi, chiede soluzioni, impone periodizzazioni. Molto spesso soltanto negli archivi c’è o c’era la risposta che l’opera si ostina a non dare. Ben diverso è invece il rapporto con un testo poetico o letterario che s’impone a noi con l’orgoglio del suo autore. E va aggiunto che, diversamente dalla letteratura, l’arte ha una dimensione infinitamente più diffusa, possiamo dire popolare; essa penetra nella vita quotidiana, in un orizzonte vasto che confina con il piacere, con l’utile, con l’ornamento e con l’arredamento. E questo avviene perché l’arte sollecita la produzione, la fabbricazione di manufatti, organizza un universo della finzione.
Le civiltà si esprimono compiutamente e capillarmente nelle proprie espressioni d’arte che non attingono soltanto alle mete supreme, ma che danno pienamente la misura della vita, e consentono la ricostruzione di una storia del gusto e del costume.
Dai vasi greci e dagli impressionisti noi non apprendiamo soltanto qualcosa che appartiene alla storia del pensiero e a una visione della società quali ci vengono da Platone o da Zola, ma una serie di informazioni che possono sublimarsi in una forma suprema, ma che restano anche documento. Fare una storia dell’arte significa quindi non interpretare, ma dar parole alle immagini e sentirle come testimonianze presenti e conviventi di civiltà lontane che continuano a essere vive. Così i musei sono luoghi astratti dove s’incrociano persiani e spagnoli, toscani e fiamminghi, come in una grande città ospitale e multiforme con quartieri costituiti da diverse etnie.
Percorrerla è faticoso, comprenderla è difficile; ma ad ogni incontro essa ha una forza spontanea di coinvolgimento, costringe a fermarsi, ad ammirarne almeno le forme esterne.
Le forme, pur essendo astrattamente caratterizzanti, non sono come le lingue, non pongono ostacoli, comunicano immediatamente. Per questo la disciplina della storia dell’arte, sempre inadeguata, ha un compito facile e insieme difficile; ha il carattere di uno strumento che è sempre destinato a perfezionarsi, a mutare e a misurarsi con una realtà sconfinata, essa si trasforma non soltanto verso il futuro ma anche verso il passato.
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