L’artista raccoglie successi e un inedito E confessa: «Vorrei scrivere un balletto»

L’artista raccoglie successi e un inedito E confessa: «Vorrei scrivere un balletto»

È in giro per l’Europa a portare il suo talento francopiemontese con spruzzate di jazz; è in giro a divertirsi con quella sua aria da intellettuale ombroso ma sempre pronto alla battuta. È appena uscito il suo ritratto nel libro-zibaldone Tutto un complesso di cose e intanto Paolo Conte pubblica l’antologia Gong-Ho con il pezzo inedito La musica è pagana. Un brano dal testo raffinato che non si pone in antitesi con il mondo spirituale ma che, nelle parole di Conte, «è una celebrazione del godimento fisico, tattile, di un’essenza tanto invisibile e impalpabile come la musica».
Difficile districare le matasse della melanconia, dello sberleffo e del sogghigno nell’opera di Paolo Conte, così lui torna al passato ad un anno e mezzo dall’inedito Nelson dicendo: «mi ha fatto piacere riascoltare certi brani, in gran parte tratti dall’album Una faccia in prestito che considero particolarmente generoso». Ed ecco rispuntare alcuni dei suoi piccoli manifesti sonori contro la barbarie del quotidiano, la canzone come massima espressione di una «forma perfetta per uno spazio di 3 o 4 minuti». E poi si schermisce, ti spinge a domandargli se Paolo Conte sia un poeta e lui risponde: «come minimo». Così tra il «vej Piemont» e Parigi, tra il Cotton Club e echi sudamericani ci si incuriosisce e gli si chiede come nasce una di queste sue benedette canzoni, al che lui spiega: «qualche rara volta scrivo di getto, ma in ogni caso ci lavoro su con matita e molta gomma», dimostrazione di chi scrive con la sapienza di chi sa rimanere dentro alle cose senza volerle vivere, usando anche la sana passione per l’enigmistica («ogni tanto da lì mi vengono dei simpatici doppi sensi a cui non so rinunciare»). Fai pure il pensionato ma ogni tanto scrivi qualcosa, diceva un anno fa e oggi, se gli chiedete se la nuova canzone prelude ad un cd inedito risponde sibillino: «non direttamente, si vedrà». Dietro al suo riserbo postsabaudo Conte rimane un viaggiatore cosmopolita di suoni e uno degli ultimi cantautori che cerca di non dare troppa retta alle logiche del mercato, uno che col suo pianoforte combatte contro i mulini a vento della tecnologia. «Può essere che la tecnologia abbia liquidato i cantastorie ma può anche essersi consumata la fonte di ispirazione».

Che sia in crisi creativa? «A volte faccio fatica a scrivere con un repertorio talmente ricco che francamente mi imbarazza. Le vie dell’arte però sono infinite. E poi mi piacerebbe scrivere la musica per un balletto moderno».

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