L’assassino della contessa se la cava con soli 16 anni

RomaSi aspettavano una condanna più severa. Ci speravano, credevano di averne diritto dopo tanto dolore e un’attesa durata 20 anni. Invece i familiari della contessa Alberica Filo della Torre, uccisa nella sua villa all’Olgiata, a Roma, il 10 luglio del ’91, si dovranno accontentare di una sentenza davvero mite: il domestico filippino Manuel Winston Reyes, in carcere soltanto dallo scorso 29 marzo, è stato condannato a 16 anni di carcere per omicidio volontario e al pagamento di 300mila euro di provvisionale.
Il pm Francesca Loy aveva sollecitato l’eRgastolo, ma a favore dell’imputato ha giocato la scelta del rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena), la concessione delle attenuanti generiche e il fatto che il reato di rapina è prescritto. Per Pietro Mattei, il marito della vittima che in tutti questi anni non ha mai mollato la presa ottenendo nel 2007 che l’inchiesta ormai archiviata venisse riaperta, è comunque una liberazione. «È finito un incubo. Ci aspettavamo però una condanna più pesante - ha commentato - anche tenuto conto che noi abbiamo dovuto soffrire per oltre 20 anni». Se quello della contessa non è rimasto un delitto insoluto è stato grazie alla tenacia del vedovo, il quale quattro anni fa ha ottenuto dai magistrati che alcuni reperti venissero sottoposti nuovamente alle prove genetiche con tecniche più sofisticate di quelle esistenti nel ’91, ma anche agli sforzi dei carabinieri del Ris che hanno ricavato il Dna di Winston da una piccola macchia di sangue rilevata sul lenzuolo usato per strangolare la contessa. La prova regina, che all’epoca del delitto non era mai stata trovata. Anche se i sospetti degli investigatori si erano subito concentrati sul filippino, indagato assieme a Roberto Iacono, figlio della maestra dei figli della vittima. I due non vennero mai arrestati, ma a lungo sembrò che potessero avere a che fare con quello strano omicidio, avvenuto di mattina mentre nella villa c’era un gran via vai di operai alle prese con i preparativi di una festa. Apparve chiaro sin dal principio che il colpevole doveva essere qualcuno che aveva libero accesso alla casa. Ma la Procura non riuscì mai ad incastrare i sospetti e i due vennero scagionati per lasciare spazio negli anni ad un intreccio di ipotesi tra le più fantasiose, come quella di un coinvolgimento dei servizi segreti. Lo scorso marzo la prova che tutti aspettavano è arrivata e il killer è stato arrestato. In un primo momento Winston si è avvalso della facoltà di non rispondere, poi si è deciso a confessare il delitto raccontando che colpì la donna nel corso di una lite poi degenerata: era stato licenziato ed era andato a chiedere di essere riassunto. Per i magistrati, invece, si era intrufolato nella villa per rubare i gioielli della contessa e venne sorpreso. Alcuni preziosi effettivamente sparirono dalla camera della vittima. E in un’intercettazione, sbobinata però soltanto di recente, Winston chiedeva a un connazionale come rivenderli. Accadeva pochi giorni dopo il delitto, ma quel nastro con impressa la soluzione del giallo è rimasto dimenticato in archivio finora.

«Sono stupito per una certa mitezza della condanna - ha commentato Giuseppe Marazzita, legale di Mattei - e faccio notare la sproporzione tra i 20 anni di sofferenza subiti dalla famiglia Mattei e i 16 anni inflitti all’imputato. C’è molta amarezza inoltre per il fatto che le negligenze dei precedenti pm e investigatori hanno portato alla prescrizione del reato di rapina». «Una sentenza giusta» per i legali dell’imputato.

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