L’assassino di Milano coinvolto in un caso del ’98

MilanoUn altro morto nel passato di Alessandro Cozzi: sempre un collega nel campo della formazione, sempre trovato morto nel suo ufficio, sempre ucciso con un coltello. E soprattutto sempre con pendenze di tipo economico con Cozzi. In quell’occasione l’uomo era stato l’unico sospettato dalla squadra mobile, il suo nome apparve anche nella relazione finale trasmessa al pm, ma alla fine non emersero elementi di prova a suo carico.
Cozzi, 53 anni, «formatore professionale», titolare della società «Milano per la donna», nonché conduttore della trasmissione Rai «Diario di famiglia», mercoledì a mezzogiorno ha confessato di aver ucciso Ettore Vitiello. La vittima, 57 anni, titolare dell’Agenzia per la formazione e il lavoro, fu uccisa con trenta coltellate martedì alle 19 nel suo ufficio al terzo piano di via Antonelli 3. L’assassino scappò ma venne arrestato all’1.30 nella sua abitazione in via Piranesi. Inizialmente negò ogni addebito, poi alla fine crollò, confessò il delitto e spiegò il movente. I due avevano organizzato dei corsi di aggiornamento professionale finanziati con 34mila euro dalla Regione. Cifra incassata da Cozzi che però tardava a dividerla con l’amico. Fino all’ultimo drammatico confronto, concluso con la morte di Vitiello.
Vicenda per molti versi simile a quella capitata il 13 settembre 1998 in via Malpighi 4, sede della «Innova Skills» di Alfredo Capelletti, 49 anni, specializzata nella formazione e consulenza aziendale. Con diversi «formatori» tra cui, dalla fine degli anni ’80, anche Cozzi, laureato in Lettere. Con il passare del tempo però i rapporti tra i due si erano deteriorati, per questioni squisitamente economiche. Quel giorno era domenica. Cozzi andò a prendere Capelletti a casa, che uscì in jaens e camicia, e lo portò in ufficio per fare quattro chiacchiere. Più tardi chiamò la moglie Maria Pia, 60 anni, per avvertirla che il marito sarebbe arrivato tardi perché voleva rincasare a piedi. «Ma se non ha le chiavi per chiudere?». Cozzi allora andò a casa Capelletti, fece salire in auto la figlia Elisabetta, 34 anni, e insieme tornarono in via Malpighi. I due entrarono e scoprirono il corpo, seduto alla sua scrivania con un coltello nella mano sinistra e una ferita al cuore.
Apparentemente s’era tolto la vita, ma la ricostruzione non stava in piedi per molte ragioni. La prima: dopo un simile suicidio infatti la lama viene solitamente trovata ancora conficcata nel corpo. Mai visto uno togliersela dopo essersi ferito. La seconda, più sottile. In base alle lesioni, il medico legale ipotizzò che Capelletti si fosse colpito con la mano destra, conficcandosi il coltello fino all’impugnatura, per poi estrarlo con la sinistra. Ma l’uomo era stato recentemente colpito da un’ischemia che aveva fortemente indebolito la parte destra: il braccio destro non avrebbe dunque avuto la forza per far penetrare il coltello così in profondità. Per la moglie poi suo marito non era tipo da «gesti estremi», non ne avrebbe avuto motivo e aveva il terrore del sangue. La sua situazione famigliare, professionale e patrimoniale era infatti quanto mai tranquilla. Infine non aveva lasciato alcun biglietto di addio.
La donna rifiutò questa ricostruzione e indicò anche il presunto assassino, appunto il Cozzi, e il movente, i soldi. La mobile indagò il consulente, interrogandolo più volte. Trovando una contraddizione nelle sue dichiarazioni: «Ho chiamato Alfredo in ufficio e ho lasciato un messaggio in segreteria avvertendolo che l’avrei cercato al cellulare». Dai tabulati emerse però esattamente il contrario: prima aveva chiamato il telefono mobile poi quello fisso. Ma la polizia non riuscì ad andare oltre. Il caso fu chiuso.

Anche se la caparbietà della moglie riuscì a farlo riaprire due anni dopo. Sei mesi di indagini, poi altro nulla di fatto. E la morte di Capelletti tornò in archivio. Fino a due giorni fa, quando l’allora principale indagato è finito in galera per un altro omicidio.

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