Cronache

L’avventurosa vita di Andrea Doria pirata e ammiraglio figlio del ’500

Di famiglia aristocratica, era alto di statura, forte e intelligente ma anche astuto e spregiudicato

L’avventurosa vita di Andrea Doria pirata e ammiraglio figlio del ’500

Ricorrono nel mese di novembre le due date fondamentali della vita di Andrea Doria, l'esponente più illustre della nobile famiglia: la nascita ad Oneglia, il 30 novembre 1466, e la morte a Genova, il 25 novembre 1560. Quasi novantaquattro anni vissuti in modo avventuroso, in ruoli diversi, guerriero, corsaro, ammiraglio, politico, principe, mecenate. Un uomo dalla tempra straordinaria, fisicamente alto e forte, dotato di intelligenza, ambizione, coraggio ma anche astuzia e spregiudicatezza.
Dagli esordi romani nella guardia pontificia come cadetto povero di un ramo Doria, alle gesta di capitano di ventura che conquista l'ammirazione dell'avversario, Andrea si fa le ossa per il futuro. Ha quasi 40 anni quando torna a Genova all'inizio del Cinquecento e riceve dal Banco di San Giorgio l'incarico di domare la rivolta in Corsica, capeggiata da Ranuccio della Rocca. Nel 1513 è a capo delle galee genovesi e negli anni seguenti sconfigge ripetutamente i pirati barbareschi che infestano il Mediterraneo Occidentale al soldo dell'Impero ottomano. Diventerà ammiraglio del re di Francia Francesco I, del papa Clemente VII, dell'imperatore Carlo V e del suo successore Filippo II. Un comandante leggendario, che ha fama di invincibile.
Eroe oppure opportunista? Nelle varie epoche, gli storici hanno espresso giudizi contrastanti su di lui. È figlio di tempi crudeli e caotici, e dimostra di avere le caratteristiche giuste per affrontarli da protagonista. Si tratta di una stagione tumultuosa, come scrive Pierangelo Campodonico, in cui non è chiaro dove sia la ragione né chi vince; e non resta che affidarsi alla propria coscienza. E Genova, alleata dei francesi, in un'Europa in cui divampano durissime guerre tra regni e religioni, non può svolgere un ruolo politico autonomo. Avviene nel 1522, durante la guerra tra Spagna e Francia, il tragico sacco della città ad opera dei lanzichenecchi, che nel 1527 si scateneranno in quello di Roma.
Andrea Doria, che è ancora ammiraglio di Francesco I re di Francia, nel 1528 sceglie di passare al servizio di Carlo V di Spagna: una scelta strategica per sé e per Genova, le cui sorti vengono così decise per i successivi centocinquant'anni. Da un lato, l'Imperatore ha bisogno della flotta di Andrea Doria e dei prestiti di famiglie genovesi come i Centurione e i Grimaldi; dall'altro, l'accordo con la Spagna lascia a Genova la possibilità di governarsi da sola e permette l'instaurarsi di un periodo di pace tra le fazioni sempre in lotta. Andrea promuove infatti la riforma istituzionale da Comune a Repubblica aristocratica, con la divisione delle grandi famiglie in 28 Alberghi, ai cui componenti è riservato il privilegio di governare, mentre la carica del doge diventa biennale. La città vede in lui il liberatore della patria. Ma pur restando di fatto il padrone dello Stato, Andrea preferisce non diventarlo ufficialmente, certo che l'oligarchia locale non accetterebbe una signoria o un principato.
Nel 1527, a sessant'anni, ha sposato Peretta Usodimare, vedova del marchese Alfonso del Carretto. Poco dopo inizia la costruzione del lussuoso palazzo di Fassolo. Carlo V lo nomina principe di Melfi e in seguito duca di Tursi, in Basilicata.
Nel Mediterraneo continua la lotta contro i pirati turchi e berberi, che culmina nel 1535 con la presa di Tunisi. Si fronteggiano Andrea Doria e il Barbarossa, che comanda la flotta di Solimano il Magnifico. C'è un'intesa segreta tra loro? Si arriva ad una tregua che rispetta le coste della Liguria, il Doria riceve il Barbarossa che è venuto a riscattare il suo braccio destro Dragut, preso prigioniero. Anche questo spazio al compromesso e al dialogo è tipico di Andrea, implacabile invece nella repressione della congiura dei Fieschi, nel 1547.
Si spegne nel palazzo di Fassolo, lucido e politicamente attivo fino alla fine. Viene sepolto nella chiesa di San Matteo, affacciata sulla piccola piazza del quartiere dei Doria, dove si trova anche la casa che il Senato gli ha donato. Tra le opere scritte su di lui, sono moderne e di scorrevole lettura: «Andrea Doria» di Pierangelo Campodonico, Tormena Editore, Genova 1997; e «Andrea Doria.

Principe e pirata nell'Italia del '500» di Paolo Lingua, Fratelli Frilli Editori, Genova 2006.

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