da Milano
«Difesa della proprietà come difesa della libertà e della pratica del diritto come difesa della giustizia: questo il filone conduttore al quale credo e spero di essere riuscito sempre a ispirarmi nella mia vita». Così Corrado Sforza Fogliani racconta e si racconta, a cavallo tra lautobiografia e il saggio, nel volume Il diritto la proprietà la banca (edito da Spirali): tre aspetti della vita italiana, e di quella dellautore, nel triplice ruolo di avvocato, presidente della Confedilizia e della Banca di Piacenza.
Ambiti diversi e complementari, di cui locchio e la penna di Sforza Fogliani colgono gli aspetti comuni e soprattutto i rischi a cui leconomia globalizzata li espone. A cominciare dal condizionamento dei gruppi dinteresse dellapparato pubblico, a cominciare dalle burocrazie, sia nazionali che europee e mondiali, Onu compreso: «Uno dei pericoli che maggiormente incombono sulla nostra civiltà», sostiene lautore, in quanto moltiplicano gli adempimenti e così facendo complicano - in particolare - linserimento dei giovani nella vita imprenditoriale e professionale.
Burocrazia che porta inevitabilmente con sé il fiscalismo, che predica la lotta allevasione, aggiunge Sforza Fogliani, per non mettere mano alla spesa pubblica, data assiomaticamente per incomprimibile: tanto che lautore si spinge a ipotizzare che, dopo le grandi rivoluzioni della storia - linglese, la francese, lamericana - «la prossima sarà una rivoluzione contro la fiscalità indotta dai gruppi».
E ancora le banche, dove il tema dattualità è quello delle fusioni: indispensabili, certo, per evitare che i maggiori istituti di credito del nostro Paese passino in mani estere. Ma, sottolinea il presidente della Banca di Piacenza, le grandi fusioni non servono il territorio come lo servono, invece, le banche locali. Di più, sono proprio queste ultime a realizzare le migliori performance, contraddistinte come sono dai migliori indici di redditività e dai minori livelli di sofferenze.
Opinioni e giudizi certamente discordanti dal linguaggio politicamente corretto a cui siamo abituati, tanto che non stupirà il paradossale - ma non troppo - «elogio della cattiveria» a cui lautore affida il suo commento finale.
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