L’avvocato: "Valter ambiva a un seggio, ma io e Letta lo sconsigliammo al premier"

Interrogato il 1° settembre Alfredo Pezzotti a Napoli racconta di quando a Roma incontra Lavitola, Tarantini e soprattutto la moglie di quest’ultimo, Nicla, all’inizio del 2011, a cui consegna una busta indirizzata a Berlusconi

L’avvocato: "Valter ambiva a un seggio, ma io e Letta lo sconsigliammo al premier"

di Gian Marco Chiocci e Patrizia Tagliaferri

Dove c’è Berlusconi c’è lui, «Alfredo», il fedelissimo maggiordomo. Fidato al punto da decidere di sua iniziativa di respingere le richieste economiche dei questuanti. Interrogato il 1° settembre Alfredo Pezzotti a Napoli racconta di quando a Roma incontra Lavitola, Tarantini e soprattutto la moglie di quest’ultimo, Nicla, all’inizio del 2011, a cui consegna una busta indirizzata a Berlusconi.

IL CAMERIERE E NICLA

«Nel primo incontro a Roma Nicla mi consegnò una lettera in busta chiusa per darla a Berlusconi dove chiedeva un aiuto economico per il suo nucleo familiare e per le precarie condizioni di salute di una sua congiunta (...). L’ho rivista a distanza di mesi quattro mesi(...). Mi chiese la cortesia di intercedere presso il presidente per ottenere aiuto di 5mila euro. La rassicurai dicendo che avrei parlato con il presidente che mi autorizzò a prelevare dalla cassa che io gestisco per le spese domestiche 5mila euro in contanti». A fine luglio, altro incontro, con analoga richiesta. Respinta autonomamente dal maggiordomo: «Dissi a Nicla che a fine mese non era possibile prelevare 5mila euro in contanti dalla cassa (...) perché non c’era più liquidità, poiché a fine mese i contanti finiscono».

«PROFITTATORI CON SILVIO»
Poco tempo dopo Nicla torna alla carica. «Le dissi che per quel mese non era possibile e che ad agosto il ragioniere era in ferie». Pezzotta afferma di non aver avvertito Berlusconi dei suoi rifiuti per salvaguardarlo, «evitandogli di avere eccessivi contatti con queste persone, che non sanno come comportarsi e se approfittano. Berlusconi stesso mi disse poi che avevo agito per il meglio». Quanto a Lavitola, il maggiordomo ce l’aveva con lui «perché io ho a cuore il presidente e mi dispiace se c’è chi si approfitta di lui».

I TELEFONINI MAFIOSI

Quando Lavitola, un paio di anni fa, consegnò dei telefonini con utenze straniere che Berlusconi avrebbe dovuto utilizzare per parlare con lui, Pezzotta rimase perplesso. «Il presidente mi parve piuttosto seccato di questa modalità attraverso cui doveva mettersi in contatto con Lavitola, e se non ricordo male mi disse “ma guarda un po’, queste cose le fanno i mafiosi”...».

«MINACCE FISICHE» A GHEDINI
Niccolò Ghedini, legale del premier, viene interrogato il 13 settembre sui 500mila euro dati da Berlusconi a Tarantini tramite Lavitola. Ma anche sui suoi rapporti con l’editore, pessimi sin dal 2008 quando Lavitola aspirava a un seggio e Ghedini, con Gianni Letta, consigliò al Cav di lasciar perdere. Di non frequentarlo. Berlusconi - racconta Ghedini - spiegò all’editore che avevano dato parere negativo. Lavitola ebbe una reazione violenta. «Andò in ufficio dal presidente, parlò con Marinella, e dicendo e facendo delle minacce di tipo fisico. o mi sono limitato ad esprimere un parere e adesso dice di volermi bastonare fisicamente, tant’è che se lo domandate a Marinella se lo ricorda perfettamente questo episodio»

CACCIA AI SOLDI
L’avvocato poi racconta che quando seppe dei soldi a Gianpi rimase senza parole. «Ma quando 500mila euro? Ma come, perché 500mila euro?». Berlusconi non si scompose. «Ci disse che lui aveva dato questo denaro a Tarantini per avviare un’attività imprenditoriale e che quindi secondo lui non c’era nessun problema e che non c’era d’avere perplessità». Ghedini cercò di capire se era possibile recuperare quei soldi che Lavitola avrebbe dovuto mettere a disposizione all’estero, prima che arrivassero a Tarantini. «Ritenevo assolutamente inopportuno che ci fossero rapporti economici di questo tipo con un soggetto che aveva procurato un rumore mediatico straordinario, che era sotto processo a Bari (...) e che era stato accusato di aver portato giovani fanciulle in quel di Palazzo Grazioli». E ancora. «Seppi in un secondo momento che oltre ai 500mila euro, che il presidente ritiene che non sia una somma importante perché ognuno dà il valore di ciò che ha, Berlusconi aveva dato altri soldi a Tarantini e sempre tramite Lavitola».

FEDE E LA SOLIDARIETÀ
Avvocato e pm finiscono a parlare della «solidarietà istintiva» che Berlusconi prova nei confronti di chi viene toccato da vicende giudiziarie e sul suo modo di reagire di fronte a certe comportamenti dei suoi fedelissimi. Ghedini fa l’esempio di Emilio Fede: «Ci sono delle risultanze molto fastidiose per Fede, che tra l’altro ha delle espressioni non proprio straordinarie nelle intercettazioni. Ma su questo il presidente è granitico: è un amico mio, è un amico mio». Insomma, Berlusconi comprende «le debolezze umane». Sempre. «Io avrei strangolato queste persone magnificate da lui - spiega Ghedini - e lui dice: ma sì, ma cosa vuoi? Momenti di debolezza, poi quello che conta è il rapporto personale, tutti possiamo sbagliare. L’umanità è fatta anche di questo».

GIANPI: «IO, D’ALEMA E IL PD»

Interrogato l’8 settembre, a Tarantini viene riletto il suo verbale (mai venuto alla luce, chissà perché) di due anni prima ai pm campani dell’inchiesta sugli appalti per la cittadella della polizia a Napoli. In quell’occasione Gianpi spiega d’aver conosciuto Enrico Intini, vicino a D’Alema emerso nell’inchiesta sulle escort quale terminale del business sponsorizzato da Tarantini col Cavaliere, e com’è che ha tentato, grazie anche alle sponde offertegli dal Pd, di entrare (senza successo) negli appalti. Tutto inizia nel 2006, quando «il mio amico Pino Ancona, imprenditore nel settore sanitario, mi chiese di sponsorizzare un brevetto da lui inventato, relativo alla tracciabilità delle sacche di sangue (...). Sponsorizzai Ancona con Roberto De Santis (ombra di D’Alema, anche lui emerso nell’inchiesta escort) altro imprenditore legatissimo a Massimo D’Alema e ad altri esponenti del Pd pugliese e nazionale che io avevo conosciuto essendo amico della sua compagna del tempo, Barbara Baratto». È a quel punto che «De Santis mi propose di coinvolgere Enrico Intini, noto imprenditore pugliese nel campo della Protezione civile e della realizzazione di strade. L’intervento di Intini si doveva sostanziare solo in un supporto economico».

GLI AMICI INTINI E DE SANTIS

E, alla fine, «Intini acquistò direttamente lui il brevetto dall’Ancona e provvide con una sua società ad attuarlo». Il passo successivo prevedeva l’ingresso della holding di Intini (che nel frattempo aveva rilevato anche la Sma spa dalla Finmeccanica) nella white list della Protezione civile. Come? Grazie a Guido Bertolaso. Con cui, rivela lo stesso imprenditore barese, Intini aveva già avuto un precedente abboccamento» ai tempi del governo Prodi. «Bertolaso fu molto vago di fronte alle nostre proposte», ammette Tarantini. «Ci disse che non era possibile inserire l’impresa di Intini nella white list, senza dare particolari spiegazioni, proponendo peraltro a Intini di entrare in una società mista Finmeccanica-Protezione civile, Selex pro o Selectra o qualcosa di simile, delle cui gare si occupava il dott. Domenico Lunanuova (al centro di una nuova inchiesta di Bari, ndr) che da poco era stata creata e che si sarebbe occupata di emergenze e di calamità naturali, nonché di ponti-radio su rete stradale, di installazione di satelliti e di fibre ottiche. Il progetto prevedeva una partecipazione dell’Intini pari al 33 per cento». Il volume d’affari era assai elevato. «Era l’epoca in cui erano pronti a partire importanti progetti, tra cui l’ammodernamento della rete Isoradio sull’intera tratta autostradale italiana (importo fra i 100 e i 130 milioni) che Finmeccanica si era aggiudicata e che in parte doveva subappaltare, soprattutto la parte costruttiva, a cui eravamo particolarmente interessati Intini ed io».

IL FLOP FINMECCAMICA
Di seguito. «A febbraio del 2009, però, accade qualcosa che manda all’aria i piani di Tarantini e Intini: «La sig.ra Grasso ci disse che i legali avevano rappresentato che era impossibile la partecipazione della società di Intini a quella società mista.

Così puntammo decisamente sull’opzione alternativa, per intenderci quella dell’affidamento dei subappalti. Anche questo progetto non è andato più a buon fine, almeno per quanto è a mia conoscenza, a seguito delle mie note vicende giudiziarie».

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