L’azzurro che rubava la carta

Paola Setti

Maggio 2005, insiediamento del nuovo consiglio regionale. Il clima era un po’ quello dei primi giorni di scuola. Loro, i consiglieri «ripetenti», che si conoscevano già, una vita in aula insieme a far comunella o a punzecchiarsi. E lui, che invece da matricola era sconosciuto ai più. Lo avevano preso subito male. Perché alla fine della seduta, Gino Garibaldi di Forza Italia faceva il giro fra i banchi dei colleghi e si portava via quello che ci avevano lasciato sopra e sotto: appunti, ordini del giorno, documenti vari. Spione, lo additarono nei corridoi, ma lui niente, ogni volta che tornava in ufficio neppure riusciva ad aprire la porta dalla pila di carta che teneva in mano. Quei mucchi di carta li «archiviava» intorno alla scrivania, senza mai leggere una riga. Un bel giorno, quando il clima divenne quasi incandescente, Garibaldi cadendo dalle nuvole ammise: «Non rubo i vostri fogli, li riciclo». Una fissa un po’ alla Silvio Berlusconi, quando da premier tentò il vano tentativo di educare al risparmio dando il buon esempio: «Io se dimentico la luce accesa a palazzo Chigi torno indietro e la spengo».

Ecco, un po’ così anche per Garibaldi: «Non vedo perché si debbano buttare via quintali di fogli che si possono ancora utilizzare, scrivendoci dietro». Da quel giorno lo guardarono un po’ meno storto, ma nessuno seguì l’esempio. Così, adesso l’azzurro esce allo scoperto e s’appresta alla sua personalissima battaglia (...)
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