«L’egualitarismo ha rovinato l’istruzione»

«Quindici anni fa non si sarebbe potuta trovare una casa editrice che volesse fare una riedizione di La chiusura della mente americana. Probabilmente è un segno dei tempi». Così Ernesto Galli della Loggia commenta la ripubblicazione del saggio di Allan Bloom, a vent’anni dalla prima. «Oggi - prosegue - potrebbe sembrare un libro conservatore, ma all’epoca era invece quasi eversivo, rivoluzionario, tutto teso contro l’ordine esistente e contro le dinamiche dell’istruzione anche universitaria - come le “quote” - che fanno passare in secondo piano il merito».
Ma per quale strada il merito è finito così a margine dell’istruzione scolastica?
«Si è cominciato col pensare che in ogni individuo ci sono potenzialità che adeguatamente sviluppate daranno i loro frutti. Il passaggio successivo è stato dare una maggiore importanza ai meccanismi dell’insegnamento che non ai reali contenuti del sapere. È questa, comunque, un’istanza democratica che è iscritta nel Dna della pedagogia occidentale, anzi, è il suo inevitabile destino. Il merito tende a gerarchizzare proprio mentre questa pedagogia tende a essere universalistica. Tuttavia su tale strada ci siamo spinti un po’ troppo in là: in omaggio alla promozione “democratica” si è creata una concreta crisi dell’educazione, fino ad arrivare nei casi più gravi a un analfabetismo di fatto negli allievi».
E il ruolo dei professori?
«Aver alla lunga dimenticato di porre l’accento sul merito ha demotivato anche loro, non solo gli allievi. L’insegnante è diventato soltanto l’amministratore della socializzazione democratica, vista come premessa dell’educazione alla cittadinanza. Tutto il contrario del rapporto tra maestro e allievo che cercava Allan Bloom».
Il quale sosteneva invece un insegnamento a partire dai grandi - e impegnativi, diciamolo - libri della cultura occidentale.
«L’educazione che avveniva sulla base dello studio del canone letterario e filosofico occidentale alla fine sboccava in un sapere molto orientato ai valori, ed era un’educazione fortemente morale e sentimentale. Colpire lo studio del canone, come è stato fatto negli ultimi decenni, ha voluto dire colpire al cuore la formazione stessa della soggettività di un individuo. Quando l’istruzione - stranamente promossa da governi vicini al conservatorismo - si concentra troppo sullo sviluppo di alcune capacità, come il saper usare il computer, diventa più difficile avere una soggettività complessivamente formata. Sono scelte pedagogiche, e si può sempre dire che molto lo si imparerà poi, fuori dall’aula. Sta di fatto che c’è stato un mutamento a 360 gradi nella visione pedagogica occidentale».
Forse in direzione di un certo relativismo...
«Sarebbe come dire che la cultura classica era dogmatica.

E io non credo che ci sia uno scontro fra dogmatismo e relativismo, ma fra relativismo buono - dove il conflitto fra le posizioni viene visto come un problema morale che obbliga a scelte alte, ed è la visione di Bloom - e relativismo cattivo, in cui si pensa che siccome ci sono innumerevoli punti di vista è inutile averne uno. Occorre dire, però, che quella cercata da Bloom era una formazione élitaria. Portarla a livello di massa pone problemi enormi».

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