L’Elefantino contro tutti «Non sono il bardo clericale»

L’Elefantino impavido alza il barrito dolente e coraggioso. L’ex ministro di Berlusconi è l’uomo che ha acceso gli animi, sprigionato le passioni, incendiato la campagna elettorale. L’ateo devoto ha scoperchiato un tabù, ha costretto a parlare della vita nascente e dell’aborto, ha seminato interrogativi e inquietudini in cattolici e laici, ha ingaggiato un braccio di ferro con il Cav che alla fine l’ha indotto a staccarsi da Silvio Berlusconi per presentare una lista tutta sua. «Lista pazza», ovviamente. Presente soltanto alla Camera. Perché al Senato, dove conta anche il singolo voto, lo sgambetto all’«amato bene» non si è sentito di farlo.
Non c’è città italiana dove Giuliano Ferrara non abbia raccolto insulti, e in parecchi casi (Palermo, Milano, Bologna, Pesaro, Padova) anche uova, pomodori e altri generi di prima necessità: evidentemente gli alimentari costano cari per i pensionati, non per centri sociali, femministe e Marco Travaglio, che su l’Unità ha sentenziato «Meglio un uovo oggi che un Ferrara domani». Il direttore del Foglio ha mantenuto le giacche di velluto dell’intellettuale, ma per il resto ha vestito la corazza del combattente, del sovvertitore, del nemico del luogo comune. Ha candidato giornalisti, operatori della sanità, rari politici di periferia, un’attrice, attivisti del Movimento per la vita; ha fatto diventare un caso perfino un film. Soprattutto ha riaperto discussioni seppellite da trent’anni.

Un movimento di opinione è stato trasformato in compagine elettorale, contro tutto e tutti, con il rischio (reale) di raccogliere soltanto uno zero virgola qualcosa. Ferrara ha detto che si prenderà tutta intera la responsabilità di un eventuale insuccesso elettorale. «Mi hanno lasciato solo? Meglio così. Con i vescovi al fianco adesso sarei il bardo clericale».

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