L’«Elettra» della Yourcenar apre le danze alla Paolo Grassi

Saggio di diploma per i giovani registi della Scuola d’Arte Drammatica: Garolla affronta il pubblico «reale»

Matteo Failla

E così la scuola è finita, le tanto attese vacanze si avvicinano, ma per qualcuno è giunta l’ora degli esami: o dei saggi di fine corso. Ne sanno qualcosa i cinque giovani registi del terzo anno della Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi, che in questi giorni stanno portando in scena i propri saggi di diploma, atto finale di un percorso formativo e allo stesso tempo punto di partenza verso lo “spietato” mondo dello spettacolo.
È iniziata questa settimana la rassegna dei saggi dal titolo Pre-visioni – 5 registi di domani alla prova, il cui sottotitolo ben rappresenta ciò che li attende una volta diplomati: «Si salvi chi può. Chi può si salvi», detto con intento ironico e scaramantico ma decisamente azzeccato per i tempi che corrono; anche per chi esce da una delle scuole più rinomate. Ha “aperto le danze”, sul palcoscenico della Paolo Grassi, la giovane regista Francesca Garolla, che sarà impegnata con l’Elettra di Marguerite Yourcenar fino a stasera.
Com’è andato il primo incontro con il “pubblico esterno”?
«È stato decisamente emozionante – confessa Francesca Garolla –, fino ad ora mi ero esibita solo per un pubblico ristretto, composto per la maggior parte da conoscenti. Eppure tutto è andato bene, la concentrazione non è mancata. Il testo della Yourcenar non è certo tra i più semplici da portare in scena come “primo” lavoro. È vero, ma la mia formazione classica mi ha indirizzato verso questa scelta. La lingua di Marguerite è bellissima e l’idea di potersi confrontare con il mito e la tragedia mi ha entusiasmato. Certo il lavoro è stato alquanto impegnativo; ho dovuto rimaneggiare l’originale, che in alcune parti sembra un trattato dal sapore freudiano con lunghi tratti, scritti con eccellenza narrativa e linguistica, che non sono adatti al teatro: ho compiuto un lavoro di “scarnificazione”, di “smaltimento psicologico”».
E la sua è un’Elettra che - come quella della Yourcenar - si distanzia dal mito di Sofocle
«Infatti mi sono attenuta al sottotitolo dato al testo da Marguerite: La caduta delle maschere. È questo il tema centrale, tutti i personaggi sono delle maschere che partono da un ideale di vendetta; ma in realtà non si liberano e cadono sopraffatti. Per questo il sottotitolo della mia Elettra è invece Quel che rimane: nulla, solo “cose” che non hanno il significato che abbiamo loro attribuito».
Qual è stata la difficoltà più grande nella prima prova da regista?
«Dover trasmettere agli attori (4 diplomandi come me e 1 professionista) quelle sensazioni che sono definibili solo come “intuizioni”. Non è semplice comunicarle, ci vuole esperienza.

Mi sono accorta però che quando si raggiunge un certo affiatamento si inizia a parlare un linguaggio comune. Forse sono un po’ idealista, ma credo che tutto funzioni meglio quando ci si affeziona al lavoro che si sta svolgendo».

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