Dopo l’eliminazione

Tutti d’accordo: il Milan non ha meritato il terribile castigo dell’eliminazione. Lo hanno testimoniato i critici («Fuori i migliori» il titolo della Gazzetta dello Sport), lo hanno sostenuto gli addetti ai lavori («Il Milan meritava molto di più» dixit Giancarlo Abete, presidente della federcalcio, «il Milan ha giocato una partita dignitosa mostrando individualità superiori a quelle del Tottenham per esperienza e capacità, ma il turno è stato compromesso all’andata» testi di Arrigo Sacchi), lo hanno gridato i reduci da Londra («Meritavamo più in Champions che a Torino contro la Juve» leale chiosa di Adriano Galliani). Ma nel calcio, i meriti spesso sono separati dai risultati, secondo una datata formula che può spiegare anche la felicità dei secondi e la passione intatta degli ultimi. Tutti d’accordo anche nel sottolineare i rimpianti che sono diventati rimorsi, col passare delle ore. «Non so se è stato il miglior Milan della stagione, so che ha attaccato per 90 minuti e in un ambiente caldissimo ha fatto la partita. Gli inglesi hanno eseguito un solo tiro in porta e con quello sono sbarcati ai quarti dove ci sono squadre non eccellentissime, a parte il Barcellona. Avremmo potuto fare molta strada» l’analisi lucida di Galliani rientrato nel cuore della notte da White Hart Lane e ieri mattina già al lavoro nell’assemblea della serie A dove ha incontrato Preziosi per discutere anche di Boateng («non faremo regali ma non ci saranno problemi» l’annuncio sulla futura intesa). Tutti d’accordo allora nel raccontare delle lacrime romantiche di Seedorf, seguite alla sua prova superba nel ruolo di regista e nel concentrarsi sulle stroncature riservate a Zlatan Ibrahimovic.
Tutti d’accordo, nel ricordare gli stenti di Ibra in Europa, tranne noi de il Giornale, come se fosse possibile essere un numero uno nel campionato di casa nostra e un numero cento in Champions. Sostiene Galliani: «Non dovete guardare solo ai gol ma al lavoro che fa per la squadra». Aggiunge Leonardo: «Non credo a un tabù Europa». Si barcamena Sacchi: «Capita, ma resta un giocatore importante». Ibrahimovic merita qualche censura per la prova dell’andata più che per Londra. Lassù ha sbavato un paio di gol davanti alla porta, a portiere già battuto nel primo caso, il suo sodale Robinho, premiato nelle pagelle perchè gira come una trottola nel resto della sfida. Non basta: se si hanno le occasioni migliori, bisogna sfruttarle mentre Ibra è pronto a farsi in dieci per soccorrere chiunque.

Il punto sul quale è doveroso invocare una discussione senza pregiudizi è il seguente: se Ibra, all’altezza di fine febbraio e primi marzo, continua a tradire perfomances inferiori al suo standard come accaduto a Torino con la Juve, a Milano con l’Inter e a Barcellona, c’è qualcosa da studiare e da cambiare nel suo “metabolismo“ calcistico. L’assicurazione più importante è arrivata dallo stesso Zlatan. «Non è vero che sono stanco» ha garantito.

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