L’eredità difficile di una struttura ultra dimensionata

Dagli aerei alle auto, dalla cloche (visto che è anche un ottimo pilota) al volante, dal colosso Boeing al gigante Ford. Una carriera nel mondo dei trasporti quella di Alan Mulally, l’ingegnere aeronautico chiamato due anni fa da Bill Ford al capezzale del gruppo. Non era facile l’eredità che Mulally ha dovuto gestire: una struttura elefantiaca, voluta negli anni ’90 dall’allora ad Jacques Nasser aveva portato i conti della compagnia in rosso. Una situazione che lo stesso discendente di Henry Ford non era riuscito a capovolgere. Comunque, Mulally ce l’ha messa tutta per far tornare a volare la gloriosa casa Usa. Rispetto a Gm e Chrysler, in questo momento Ford è l’unica ad avere fondi a sufficienza per tirare avanti un anno senza iniezioni di liquidità dallo Stato. «A condizione - ha però sottolineato Mulally - che nessuno degli altri due gruppi crolli», trascinando così nel baratro l’economia del Paese.
Quasi del tutto smantellato il Pag (Premium automotive group) voluto da Nasser - con la cessione di Aston Martin (la proprietà è passata a una cordata di investitori), Land Rover e Jaguar (cedute a Tata Motors) e con Volvo nel mirino dei cinesi di Changan e degli indiani di Mahindra - l’impegno di Mulally è rivolto alla realizzazione del suo slogan: «One team, one plane, one goal».

Ovvero una sola squadra, di cui fanno parte anche sindacato e concessionari, concentrata sullo sviluppo dell’azienda (in questo senso rientrano le cessioni portate a termine) con l’obiettivo di ritrovare la profittabilità.

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