L’esordio disperso di MALAPARTE

A 16 anni Kurt Suckert dedicò i suoi primi versi al poeta Marradi. Una plaquette «fantasma» inseguita da studiosi e bibliofili...

Le opere prime dei letterati del nostro Novecento sono spesso minuscole. Minuscole e adolescenziali. A volte sono quasi invisibili. Un esempio su tutti: le Diciotto liriche del tredicenne Alberto Moravia, apparse in forma privata nel 1920 e firmate Alberto Pincherle. Chi le ha viste?
Minuscolo, adolescenziale e invisibile insieme è - per paradosso - il libro d’esordio di uno dei personaggi italici narcisisticamente più smisurati del Ventesimo secolo giornalistico-letterario. Curzio Malaparte, s’intende (esiste un caso di egolatria intellettuale più clamoroso del suo?). Sì, perché il primo libro di Malaparte è talmente precoce, esile e raro da sfuggire perfino all’occhio filologico dei bibliografi. E pensiamo al Curzio ragazzino di Prato, quando ancora portava quel nome paterno tutto pungente d’asprezze sassoni: Kurt Suckert. Già, Malaparte: l’arcitaliano teutonico, il barbaro più toscano dei toscani purosangue, il dandy polemista e tuttologo ante litteram, l’interventista, il poeta dolente, il duellante, il dannunziano... Infinitamente dannunziano nel taglio esistenziale «inimitabile», ma agli antipodi del Vate in fatto di stile e di talento artistico. Da subito. Da quell’età acerba e infiammabile che sono i 16 anni: così il canto A Giovanni Marradi, l’esordio misconosciuto di cui s’accennava, mostra un Malaparte poco dannunziano, assai più vicino al roboare medievaleggiante del drammaturgo conterraneo Sem Benelli. E pensare che proprio allo stesso Collegio Cicognini di Prato - presso il quale uscì A Giovanni Marradi, il 10 maggio 1914 - aveva studiato, anni prima, Gabriele D’Annunzio, pubblicandovi il pretestuoso e già presuntuoso Omaggio e ricordo per Umberto I di Savoia, operetta inaugurale e d’occasione, datata 1879: un tempo ormai remoto per il piccolo Kurt. Lui, bambino insicuro negli affetti, era approdato al celebre Cicognini dopo vari sballottamenti scolastici, fra Piemonte e Lombardia. Affettivamente insicuro: e sempre, fino alla fine, Malaparte si sentì avulso dal nucleo familiare. «I miei - si tormentava - hanno una mentalità troppo, diciamo così, diversa dalla mia, e mi tirano giù con le loro ideine, i loro piccoli interessi e, sopra tutto, con la loro spaventosa ignoranza, incultura». Agli spregiati genitori, comunque, Kurt si affrettò a raccontare la genesi della sua aurorale manciata di versi in onore di Marradi, stampati in forma di fragile plaquette, di cui ora non si conoscono che due o tre esemplari.
Il racconto guizza tra le righe di una lettera inedita, tutta fremente d’entusiasmo, conservata nell’Archivio Malaparte: «Mercoledì ultimo scorso, abbiamo avuto componimento in classe, così, mentre si svolgeva il tema, è entrato il preside e mi ha chiamato: “Senti, mi disse, domenica viene qui al Collegio a fare una conferenza Giovanni Marradi, livornese, uno dei più grandi poeti viventi, e accanito repubblicano, anzi primo celebratore delle gesta di Garibaldi. Bisognerebbe che tu gli facessi una poesia sulla specie di quella che tu facesti al Benelli, al resto ci penso io, perché te la fo stampare a spese di tutto il Collegio”. Io promisi e sabato mattina, infatti, consegnai la poesia al preside; lui la lesse, la rilesse, poi piangendo mi abbracciò e mi baciò dicendo che in quel momento mi voleva più bene che a un suo figliolo. Il giorno dopo, domenica, arrivò il Marradi verso mezzogiorno: io gli lessi la poesia (già stampata in 800 copie) nello studio del preside, e anche lui mi abbracciò e mi baciò piangendo. La sera alle sette, poi, me ne andai a cena insieme al preside e a parecchi altri e alle nove e mezzo feci il mio ingresso sul palcoscenico del teatro del Collegio per leggere la poesia al pubblico. La lessi, mi applaudirono e il Marradi, poi, cominciò la sua conferenza con un discorso in cui mi elogiava...». C’è già tutto Malaparte nell’emozione ancora infantile di questa missiva: si sente già il protagonista affannato di una vita inscenata sulla ribalta della cultura italiana, a cercare la gloria mondana nel suono argentino degli applausi.

Vanità!
La poco nota vicenda «editoriale» del primo testo di Malaparte è raccontata in un articolo di Matteo Luteriani - il quale nutre forti dubbi sull’effettiva consistenza della tiratura della plaquette (probabilmente le copie stampate non furono più che una trentina) - pubblicato sul numero di maggio-giugno della rivista Wuz, bimestrale diretto da Ambrogio Borsani e pubblicato dall’Editrice Bibliografica di Milano: una rivista insolita, che riuscirà ad avvincervi col suo modo di raccontare storie preziose di editori, autori e libri rari.

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