Il Vaticano nella serata di ieri ha risposto alle nuove accuse rivolte al Papa. Non è solo la Santa Sede a difendere loperato del pontefice. Secondo un esperto di diritto canonico, infatti, ci sono cinque inesattezze nella ricostruzione del «caso Kiesle» da parte dei media americani. Eccole:
1) Nel 1985 la Sacra (allora ancora cera tale aggettivo per le Congregazioni romane) Congregazione per la Dottrina della Fede non era competente per i casi di pedofilia, ma lo era per le richieste di dispensa dal sacerdozio.
2) Il sacerdote Stephen Miller Kiesle chiedeva appunto la dispensa dal sacerdozio; la richiesta era appoggiata dal vescovo, ma era del sacerdote.
3) Non si trattava quindi di una riduzione allo stato laicale di tipo «penale» (cioè di una punizione per gli atti di pedofilia), ma di una domanda del sacerdote stesso. Non risulta, dalla lettera, se il vescovo aveva intrapreso procedimenti punitivi nei confronti del sacerdote.
4) Era ed è tuttora prassi che non si concedano dispense dal sacerdozio a coloro che le richiedono, se non al compimento dei 40 anni di età (salvo casi particolari, come lesistenza di figli). Il reverendo Kiesle ne aveva allora 38, secondo le notizie che leggo in Internet. Sempre secondo tali notizie, la dispensa dallo stato clericale gli fu concessa nel 1987, cioè proprio quando raggiunse i 40 anni.
5) La responsabilità dellintera vicenda - e di eventuali ritardi nelle decisioni - non può essere addossata alla Santa Sede, che fino al 2001 non aveva competenza per i casi di pedofilia se non implicavano la «sollecitazione» della vittima nel confessionale.
Sembra pertanto che la Congregazione per la Dottrina della Fede si sia comportata in questo caso come per le altre richieste provenienti da sacerdoti, dal momento che non aveva competenze «penali» sugli atti commessi dal rev. Kiesle e che se il vescovo non aveva intrapreso un processo canonico contro di lui questo sarebbe stato un suo preciso dovere.
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