Dal nostro inviato ad Ankara
Il linguaggio della Commissione Europea è all'apparenza diplomatico: ieri ha proposto un rallentamento, peraltro parziale, delle trattative con la Turchia per l'adesione alla Ue. Ma la sostanza è durissima, perché in realtà Bruxelles propone di congelare otto dei trentacinque capitoli negoziali e annuncia che fino a quando la questione di Cipro non verrà risolta tutti gli altri non verranno chiusi. Il che vuole dire bloccare di fatto tutto il processo, perlomeno in teoria.
Il «governo» dei Venticinque ha facoltà solo di raccomandare queste misure, mentre la decisione spetta ai capi di Stato e di governo che si riuniranno a metà dicembre a Bruxelles per un vertice che si annuncia tra i più difficili della storia comunitaria.
Che la questione turca fosse diventata assai spinosa era evidente da tempo, in particolare nell'opinione pubblica continentale. Mentre fino a qualche anno fa si percepiva una benevola indifferenza nei confronti dell'allargamento della Ue, dopo il no dei francesi e degli olandesi alla Costituzione europea si è radicata una forte ostilità nei confronti di Ankara. I sondaggi dimostrano che sempre più cittadini non vogliono aprire le porte dell'Unione al primo Paese musulmano.
Poco importa che la Turchia sia laica, come ripetono nelle varie capitali i sostenitori della candidatura di Ankara: in un'epoca di forti tensioni tra il mondo occidentale e quello islamico, questa peculiarità sfugge ai più. E la diffidenza tende a diffondersi.
Forse non casualmente anche a livello istituzionale i rapporti sono degenerati e su una questione, quella di Cipro, che a noi sembra marginale, ma che in un Paese molto nazionalista è considerata fondamentale. Come noto, l'Unione Europea ha accolto Nicosia nonostante la frattura tra la parte greca e quella turca non sia stata ricomposta. Oggi la Ue riconosce il governo greco-cipriota, mentre Ankara si ostina a difendere quello della comunità turca.
La questione si trascina da molti anni e tutti i tentativi di riconciliazione sono finora falliti, ma si supponeva che, nell'ambito dei negoziati con la Ue, la Turchia non si spingesse fino al punto di rottura. E invece così è stato.
L'unione doganale prevede la libera circolazione delle merci, ma Ankara si è rifiutata di dare seguito alla Dichiarazione con la quale si impegnava ad aprire porti e aeroporti a tutti i Paesi entrati nell'Ue nel maggio del 2004, quindi anche alla Cipro ufficiale, ovvero quella greca.
I colloqui si sono trascinati per mesi fino a lunedì, quando è fallito anche l'ultimo incontro tra la Finlandia, presidente di turno della Ue, e il ministro degli Esteri turco Abdullah Gul. A quel punto era inevitabile che la Ue avrebbe preso delle contromisure, ma tutti si aspettavano una sospensione limitata a Cipro e a pochi altri dossier. Invece la Commissione ha optato per condizioni più dure. Ed è molto significativo che la decisione sia stata approvata all'unanimità. Di fatto ha scaricato interamente su Erdogan la responsabilità di quanto accaduto.
«Ci auguriamo che la Turchia ripensi le sue azioni prima del vertice europeo dell'11 dicembre», ha detto il vicepresidente della Commissione Europea Franco Frattini, conversando con i giornalisti a margine di un seminario dell'Enea all'Europarlamento. «Solo così la raccomandazione rivolta oggi al Consiglio non si trasformerà in una misura operativa».
Frattini ritiene che «la soluzione sia la più equilibrata possibile nelle condizioni date. Del resto - ha aggiunto - bisogna considerare che alcuni Paesi volevano la sospensione totale del negoziato. Invece la raccomandazione riguarda solo 8 capitoli su 35». Come dire: potevamo cacciarli subito, ma abbiamo optato per una soluzione che solo in apparenza è più moderata.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.